Sedici ottobre del 1943: una lezione trascurata

di Nautilus

Sul conflitto che si è improvvisamente riacceso in Medio Oriente, tutte le persone che si considerano di sinistra, si stanno disponendo con animi profondamente diversi: c’è chi sente come lacerante e insanabile la feroce aggressione nelle case da parte dei terroristi di Hamas, c’è chi imputa allo Stato di Israele la costante rimozione della questione palestinese. Entrambi gli stati d’animo, se esasperati, possono portare all’odio, alle opposte criminalizzazioni anche dalle nostre parti. Ad entrambi i “fronti” emotivi e politici può essere utile rivisitare una vicenda che nei giorni scorsi è stata ricordata per la ragione principale: il rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943, con la deportazione nei campi di concentramento nazisti di 1259 ebrei romani.
Ravvivare la memoria di eventi così crudeli, ovviamente, è essenziale in sé e per sé. Ma può esserlo anche per un altro motivo. In Italia, prima di quel giorno di ottanta anni fa, l’anti-semitismo non aveva mai messo radici profonde. A Roma era presente una delle comunità più antiche e il Risorgimento aveva avuto l’appoggio da parte degli ebrei italiani. Certo la Chiesa di Roma e i Papi avevano fatto di tutto per “ghettizzare” gli ebrei e anche durante i primi anni del fascismo, le incontinenze razziste avevano prodotto danni. Fu l’asse Roma-Berlino che spinse Mussolini su una brutta strada: la difesa della razza, le infami leggi razziali. E poi quel rastrellamento, l’atto più terribile del nazifascismo in Italia.
In tanti covavano antipatia istintiva verso gli ebrei, ma quella terribile forzatura non venne condivisa dalla stragrande maggioranza del popolo italiano, dove pure non mancavano sacche d’odio. Un esempio di come i peggiori sentimenti possano essere trasmessi da una classe dirigente malata, alla quale interessa soltanto il proprio potere. Si inventano nemici per mantenere sé stessi in sella. Ecco perché il 16 ottobre 1943 deve restare un monito permanente. Mai più nulla del genere, ma soprattutto, oggi, guai alla criminalizzazione strisciante, per noia o per posizionamento nelle chiacchiere con gli amici: prima o poi quella roba lì diventa odio e si trasforma in sangue.

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