La libertà non si negozia

di Giada Fazzalari

“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale solo quando comincia a mancare”. Quella che sembra la massima di una saggezza arcana, è in realtà una frase tratta da un’appassionata difesa della giovane Costituzione Italiana che Piero Calamandrei, padre costituente, pronunciò davanti agli studenti milanesi nel 1955. Erano parole perfettamente calate nel tempo: un’altra stagione, un’Italia da poco libera.  Parole che, oggi che viviamo in una democrazia compiuta e consolidata, potrebbe sembrare retorico ribadire. Eppure, nel clima generale che si è creato, specie nell’anno in cui celebriamo l’assassinio di un socialista morto per la libertà, rivestono un’importanza straordinaria. Diciamolo chiaro: la politica ha sempre provato ad occupare la Rai, conquistando piccoli o grandi pezzi di potere: sarebbe ipocrita sostenere il contrario. La censura, però, è un’altra cosa. Lo sciopero che il principale sindacato dei giornalisti Rai ha indetto nei giorni scorsi è la punta dell’iceberg di un “metodo” diventato insostenibile: nelle redazioni politiche dei tg si pesano le parole, si tardano servizi sgraditi alla destra di governo, si cambiano gli aggettivi, si enfatizza l’iniziativa dell’esecutivo. Ma c’è di più: il tentativo che questo governo, oggi, sta provando a fare, è ben più profondo di una informazione pervasiva che sfocia nella propaganda e delle censure che sono state praticate verso giornalisti sgraditi come nel caso Scurati. C’è la pretesa, pericolosa, di cambiare la narrazione culturale del Paese, di riscriver la storia, di spezzare quell’egemonia culturale di sinistra, che pure c’è stata, con metodi poco nobili –  come l’occupazione dell’informazione televisiva pubblica – e con una brama del potere che per anni, la destra, non era mai riuscita a conquistare. Attenzione, perché ogni tentativo di restringimento dello spazio democratico, se non limitato e arginato, può sfociare in sopraffazione. Si comincia con l’abolizione della autonomia istituzionale e culturale della Rai e si finisce con la compressione delle libertà e dei diritti: libertà di espressione e diritto dei cittadini ad essere informati in testa. Con il rischio che, attraverso la massa in onda di messaggi a volte distorti, si crei un’opinione pubblica asfittica, quando la sua vivacità è, invece, essenziale per la democrazia, esattamente come lo è un’informazione libera. È nobile l’idea di Vittorio Di Trapani, Presidente della FNSI, simbolica ma straordinariamente significativa, di apporre a giugno una targa sulla stele dedicata a Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma, promossa da giornalisti che credono nei valori per cui il martire socialista è morto. Tra le tante, non ce n’è una che rappresenti una professione delicata come la nostra. L’Avanti!, giornale che Matteotti portava sotto il braccio ogni giorno, la sosterrà e chiederà di patrocinarla. Ora la Rai, la più grande impresa culturale del paese, capace di formare la coscienza critica, è a un bivio: fare un salto di qualità e liberarsi dai partiti con una seria riforma, oppure restare un carrozzone a servizio di un potere meschino, avviata verso un disastroso declino. Il momento storico per farlo è adesso. Quale che sia il suo destino, non si può prescindere da un principio sacrosanto: la libertà, dei giornalisti, di informare. La libertà intesa come bene essenziale, non negoziabile.

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