Scrivi Cetto ed eleggi La Qualunque

di Alessandro Silvestri

A meno di un mese dalle europee, la lotteria delle candidature per i 76 posti italiani disponibili, si è finalmente arrestata. Cerchiamo di vedere e di leggere tra le righe, i nomi (tanti), le aspettative (tantissime) e i programmi (e qui bisognerebbe telefonare a “Chi l’ha visto”) di partiti e candidati. Una elezione che da noi è considerata alla stregua di una “mid term” statunitense, con gli eletti al primo (ma anche al secondo) colpo, pronti lestamente a rinunciare al seggio di Strasburgo, secondo convenienza. Di questi addii è costellata puntualmente la storia delle elezioni per l’Europarlamento, almeno nell’ultimo ventennio. Solo in Italia infatti, vediamo correre un Presidente del Consiglio, numerosi ministri e parlamentari in carica, che poi nelle ore successive al voto, declineranno le indicazioni degli elettori, per dimettersi e far subentrare il primo dei non eletti. Nel 2019 a Matteo Salvini, recordman assoluto di preferenze (696.027), subentrò Marco Campomenosi (17.788) e a Giorgia Meloni (92.850) Pietro Fiocchi (9.300). Succederà ovviamente anche stavolta, vista la necessità impellente del governo in carica di mantenere il gradimento ottenuto nel 2022, e per le opposizioni (specialmente PD e 5 Stelle) di conquistare un segnale positivo dopo la debacle alle politiche, e le regionali così così. Quel che emerge con chiarezza è che tutti i principali leader di partito, saranno impegnati a far da specchietto per le allodole, nel tentativo non già di ottenere risultati lusinghieri, ma di evitare la peggior figuraccia possibile. Un caso a parte Conte e Salvini, che vorrebbero rifuggire in ogni modo dalla dura legge dei numeri, visto che i risultati del 2019 non potranno essere replicabili, specialmente per la Lega (che arrivò al 34,3%) mentre soltanto nel 2018, ma sembra passata un’era politica, i 5 Stelle presero per il rinnovo del Parlamento il 32,68%. Situazione che in un Paese normale avrebbe dovuto spingere alle dimissioni da tempo, i suddetti capi-popolo. Ma vediamole queste liste, e proviamo ad analizzarle se possibile, con serietà. “Giorgia” sarà capolista in tutte e cinque le circoscrizioni. A nemmeno due anni dal suo trionfo, e con i sondaggi in costante calo, vuol dimostrare ai suoi (in Italia e fuori, visto che è anche la leader di ECR) di essere ancora saldamente in sella. Nota di colore, Vittorio Sgarbi, uscito malamente dalla porta del Governo per via delle sue note marachelle, rientra dalla finestra della lista della Meloni, candidato al Sud. Salvini, alleato dell’estrema destra filo-putinista europea, da furbacchione qual è, manda in prima linea le divisioni del generale Vannacci nel tentativo, poco nascosto, di tenere a bada i leghisti “così” e di rimandare la data dell’addio ai sogni di gloria. Tajani sarà capolista in quattro su cinque lasciando le Isole a Caterina Chinnici candidata soltanto un anno e mezzo fa a presidente della Regione Sicilia per il PD…con Alessandra Mussolini europarlamentare uscente del gruppo PPE, ancora candidata al Centro Italia. Se Giorgio Almirante tornasse sulla Terra in questo momento, non ci capirebbe un’acca (Larentia). L’altra donna al comando, Elly, con maggior parsimonia degli altri, sarà al Centro e Isole. Il PD tutto sommato sta tenendo la soglia del 20% e lo fa, come hanno commentato alcuni notisti politici più bravi di noi, con quella particolare alchimia che riesce ad esprimere grazie al suo zoccolo duro. E al netto dei vari segretari che si sono alternati alla guida. Ma se il vizio dei “catapultati” nelle varie circoscrizioni non accenna a diminuire, due esempi particolari emergono proprio dalla nostra lista, Stati Uniti d’Europa, con Matteo Renzi candidato in quattro circoscrizioni su cinque, però stoicamente all’ultimo posto, che ha già dichiarato se eletto, di  andare a svolgere il compito assegnatogli. E non è difficile che si prospetti per l’ex PdC, un incarico importante a Bruxelles, al netto delle perplessità di Bruno Vespa, che ha fatto finta di non capire l’importanza della sua presenza nei processi di riforma della governance continentale. Last but not least, grande risalto va dato senza dubbio, al posto di capolista al Sud ottenuto dal nostro Enzo Maraio, che riveste un’importanza strategica sotto molti punti di vista. Innanzitutto la stima e la credibilità del suo lavoro come amministratore locale in Campania, e parimenti, quello di guida di un piccolo partito che pur nelle interminabili difficoltà dei passati trent’anni, sta riconquistando piano piano, con grande sforzo e pochissimi mezzi, il posto d’onore che merita, nella storia e nel presente politico italiano. Unico capolista tra l’altro, che nel suo collegio vive, opera e lavora, a dispetto di tutti quelli che passano per acchiappare voti e poi chi s’è visto, s’è visto. E non è certo un caso se anche il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, abbia espresso pubblicamente il suo endorsement per il segretario socialista. E adesso compagni, come dicevano i nostri nonni, al lavoro e alla lotta!

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