Intervista a Anna Foa: «La strage a Gaza è il suicidio di Israele. La democrazia è a rischio per mano del governo Netanyahu»

di Giada Fazzalari

A più di un anno dalla riesplosione del conflitto in Medio Oriente, che si è trascinato con sé migliaia di vittime civili innocenti, Papa Francesco rompe gli indugi e pronuncia la parola “genocidio”, riferendosi alla strage che si sta consumando a Gaza, dopo il tragico attentato del 7 ottobre per mano di Hamas. Qualcuno continua a chiamare questa sproporzionata reazione del governo israeliano “guerra di difesa”, eppure si avvicina molto di più a un crimine contro l’umanità: uccidere volontariamente e sistematicamente civili. È la riflessione che fa Anna Foa, storica, docente emerito di Storia moderna all’Università “La Sapienza” di Roma, presidente della Fondazione Modigliani, figlia del deputato socialista Vittorio Foa, uno dei padri della nostra Repubblica. È in libreria in questi giorni il suo ultimo libro “Il suicidio di Israele” nel quale analizza gli ultimi anni della storia del Paese ed approfondisce il rapporto tra sionismo e colonialismo.

Professoressa Foa, le parole di Papa Francesco sul conflitto in Medio Oriente hanno scatenato una durissima reazione da parte dell’ambasciata israeliana, solo per aver pronunciato il termine “genocidio” riferito a Gaza, anche se inserito in un contesto dubitativo. A suo avviso, che segnale è?

«È stato il segnale che bisogna affrontare questo problema. Una parola così forte, pronunciata dal Papa, ha un significato assai più forte rispetto a quando viene gridata, in maniera non dubitativa questa volta, dalle piazze o dai ragazzi delle scuole. Di fronte a un numero di morti così enorme parlare di genocidio, anche in maniera dubitativa, mi sembra sia una cosa naturale. “Genocidio” è un concetto giuridico, non culturale o politico e ha delle regole molto precise. Toccherà ai tribunali internazionali decidere se sia possibile o meno parlare di genocidio. Vede, il genocidio richiede una volontarietà precisa di uccidere qualcuno, non è tanto legato al numero delle vittime e questo è un tema che viene messo in discussione, perché ci si domanda se bastino le affermazioni, quelle sì genocidarie, di alcuni ministri del governo e dello stesso Netanyahu, oppure se serva un disegno preciso, come è stato per la Shoah o per gli armeni. Certamente siamo di fronte a crimini contro l’umanità, perché si uccidono i civili non casualmente. Si fa il conto di quante persone civili possono essere ammazzate per giustificare la morte di un terrorista».

Israele continua a parlare di guerra di difesa…

«Non mi stupisco affatto che un governo che è saltato sopra all’attacco, o meglio la mattanza del 7 ottobre, che ha condotto una guerra senza senso per un anno sterminando un numero incredibile di civili e rasando al suolo Gaza, possa avere una reazione diversa da questa. Inoltre, il termine “genocidio” per un ebreo che ha perso i suoi familiari con la Shoah è qualcosa che suscita un senso di reazione. Ma è una reazione emotiva, non razionale. Il governo rifiuta decisamente il termine genocidio, come ha rifiutato i termini colonialismo e apartheid, esattamente come sta andando ad annettere la Cisgiordania facendo finta di niente, affidando la colonia a una parte dell’esercito».

Nel suo libro parla di “suicidio di Israele” rispetto a quello che sta succedendo dal 7 ottobre in poi…

«I cittadini israeliani hanno perso, da quel giorno, il senso di sicurezza che avevano sempre avuto sino ad allora e poi c’è un trauma enorme che si ripercuote anche sul loro modo di vivere. Anche sulle forze di opposizione al governo Netanyahu, purtroppo, che prima del 7 ottobre erano state incisive e subito dopo sono risultate appiattite. Io credo sia in atto un suicidio politico, come l’isolamento, anche se a Netanyahu e al suo governo l’isolamento non dispiace per dimostrare che tutto il mondo è antisemita. Poi c’è stato un suicidio etico, morale. Mai i primi sionisti avrebbero accettato fatti di questo tipo, e cioè che 40mila morti sono necessari per distruggere Hamas, che tra l’altro sembra non sia stata affatto distrutta. Con la conseguenza che ormai la metà degli ostaggi israeliani sono morti».

Molti ritengono che nei paesi occidentali ci sia un rigurgito antisemita. Però, come si può spiegare bene che non tutto il popolo di Israele approva le azioni criminali del suo governo?

«Si fa un solo blocco di Israele, esattamente come si fa dall’altra parte un solo blocco di Hamas e dei palestinesi, accusando questi ultimi di essere pronti a sgozzare gli ebrei, non distinguendo i terroristi di Hamas dal popolo palestinese. Forse basterebbe dare un’occhiata al dibattito intellettuale. Il fatto che parte del mondo accademico israeliano abbia espresso delle critiche molto serie rispetto al processo di decadimento e di perdita della democrazia in Israele basta per rendersi conto che è esistita, fino al trauma del 7 ottobre, un’opposizione molto importante, che quel trauma ha devitalizzato ma che ha bisogno di essere sostenuta da tutti. Bisogna ricordarselo»

Non pensa che il dibattito pubblico si sia svilito e ridotto a tifoserie da stadio, quando invece avrebbe bisogno di riflessioni più serie?

«Sì, un dibattito che si è esaurito anche sull’onda della fretta. Quando passano in Israele delle norme che per esempio impediscono l’accesso in Parlamento ai partiti arabi, è chiaro che esiste una certa fretta e non c’è spazio per riflettere su un panorama di lungo respiro, per sollecitare l’azione di un’opposizione più incisiva. Il dibattito, soprattutto all’estero, è terribile, scatenato da una parte da quelli che gridano “buttiamo a mare gli ebrei” e chi vuole cacciare gli arabi appoggiando senza se e senza ma il governo israeliano. Io credo che esista una terza via, difficilissima da trovare, che è quella di spiegare ai giovani che nulla sanno cosa è stato il sionismo ed al tempo stesso, lo ribadisco, chiarire che serve un’opposizione e che il governo Netanyahu non solo sta distruggendo qualunque possibilità di creare uno Stato palestinese e Gaza, sta anche distruggendo la democrazia in Israele».

In effetti qualcuno, pochi a dire il vero, hanno messo in discussione il fatto che Israele resti l’unica democrazia della Regione. Lei cosa ne pensa?

«Io credo che Israele non sia mai stata una piena democrazia, nel senso che anche i cittadini arabi israeliani non hanno goduto di tutti i diritti e ultimamente si è sviluppato, con questi estremisti messianici al governo, una forma di razzismo anti-araba molto vasta. Uno stato democratico deve garantire appunto i diritti pieni a tutti i suoi cittadini e oggi ci sono una serie di norme, per esempio la violenza delle forze dell’ordine contro le manifestazioni, cresciuta con la riorganizzazione della polizia fatta dal ministro Itamar Ben-Gvir, un noto razzista. La guerra esterna è una guerra senza pietà, con delle affermazioni da parte dei coloni del tipo “se non ci danno quello che vogliamo dovremmo uccidere i bambini”, sono cose fuori dal mondo (già lo fanno, ma che lo teorizzino è terribile). La democrazia in Israele, in questo momento di guerra, è seriamente a rischio.

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