Aumenti ai ministri alla chetichella? Come oscurare alcune buone ragioni

di Nautilus

Ogni tanto il governo guidato da Giorgia Meloni e suoi esecutori parlamentari si infilano in vicende maldestre, gestite con un’imperizia sorprendente. Prendiamo la proposta di aumento dello “stipendio” dei ministri non parlamentari inserita in un emendamento di “iniziativa parlamentare” alla Legge di Bilancio. Per una serie di sovrapposizioni legislative, in Italia chi diventa ministro (e sottosegretario) può ritrovarsi ad avere due trattamenti economici molto diversi: se non è parlamentare lo stipendio è più che dimezzato rispetto a chi lo è e comunque di poco superiore ai quattromila euro netti mensili. Di qui una doppia incongruenza. La prima: una palese diversità di trattamento per un medesimo incarico, tra l’altro delicato e strategico come quello di ministro in un Paese del G7. Seconda: chi assume un incarico di quel tipo deve essere retribuito in modo adeguato rispetto alle responsabilità che si assumono e anche a tutela della propria libertà in particolare quando si è chiamati a fronteggiare interessi miliardari. Nel passato già diversi governi sono stati sul punto di parificare i trattamenti, ma di quelle istruttorie non si è mai saputo nulla, sta di fatto che diversi Presidenti del Consiglio si sono trattenuti e alla fine hanno rinunciato ad avviare l’iter. Perché si poneva allora – e si pone ancora oggi – una questione di opportunità politica e anche una valutazione su come articolare l’intervento. Il governo Meloni e la sua maggioranza hanno deciso di farlo nel modo peggiore: inserendo la norma alla chetichella nella Legge di Bilancio, non rivendicandone preventivamente la “giustezza”, inserendo in un’unica infornata, ministri e sottosegretari, come se le responsabilità fossero le stesse e poi correggendo il tiro e riconoscendo un fondo trasferta che peraltro già esiste. Un pasticcio. Di certo, si è persa una nuova occasione per discutere pubblicamente e serenamente attorno ad un bene prezioso: come funziona, al netto delle ipocrisie, una democrazia rappresentativa.

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