di Andrea Follini
Domenica scorsa un gruppo di soldati israeliani fa irruzione nella sede della televisione qatariota Al Jazeera a Ramallah, in Cisgiordania, notificando un provvedimento del tribunale israeliano con il quale si intima la chiusura delle attività d’informazione; viene ordinato al personale presente di raccogliere la strumentazione tecnica e di andarsene. Il tutto viene trasmesso in diretta dalla stessa emittente e ripreso dalle tv di tutto il mondo. Il fermo intimato alle attività ed alle trasmissioni dell’emittente ha una durata di quarantacinque giorni, rinnovabile. Il provvedimento è stato deciso da Israele perché la tv araba è accusata di essere uno strumento di propaganda palestinese e soprattutto del nucleo terroristico Hamas. Già a maggio il governo Netanyahu aveva disposto la chiusura degli uffici temporanei di Al Jazeera a Gerusalemme con le stesse motivazioni. Ora questa nuova disposizione, che indica con evidenza quanto i mezzi di informazione incontrollati spaventino il governo di Tel Aviv. Secondo l’emittente araba, le motivazioni della scelta andrebbero ricercate nella volontà di non far conoscere all’opinione pubblica il reale numero delle perdite israeliane nel conflitto in corso. Al Jazeera ricorda anche come siano già quattro i suoi giornalisti morti a Gaza dal 7 ottobre, denunciando come il proprio personale sia messo nelle condizioni di non operare liberamente. Certo è che le mancate autorizzazioni alla stampa di entrare nella Striscia per poter verificare quanto stia succedendo, cosa che risulta possibile di fatto solo a questa emittente, da oggi diventano ancora più difficili. Sul tema, anche il nostro giornale ha accolto l’appello lanciato nei giorni scorsi dalla FNSI – Federazione Nazionale della Stampa Italiana perché sia consentito ai mezzi d’informazione di entrare nella Striscia e di poter raccontare al mondo cosa lì stia succedendo. Più volte è stato ribadito che Israele, nell’area mediorientale, è l’unica democrazia esistente. Ora, provvedimenti che imbavagliano la stampa non possono essere certo annoverati come tra quelli più virtuosi di una democrazia, pur comprendendo che ci si trova nel mezzo di un conflitto. Ma forse proprio perché si sta combattendo una guerra, l’informazione dovrebbe essere lasciata libera di documentare quanto sta succedendo, liberando l’opinione pubblica dalla sola propaganda. La necessità, più volte dichiarata dai media occidentali, è del resto quella di garantire un’informazione libera specie sugli aspetti di carattere umanitario. Dopo l’invasione della Striscia, i bombardamenti degli edifici, degli ospedali e delle scuole, forse si vuole stendere un lenzuolo sulle atrocità che continuano e che hanno portato alla morte di quasi 50mila civili. Mentre ci avviciniamo al 7 ottobre, anniversario del barbaro attacco terroristico di Hamas in territorio israeliano, che ha visto la morte cruenta di più di mille cittadini israeliani ed il rapimento di 251 persone, il conflitto sembra essersi spostato a nord. Israele ha concentrato in queste ultime settimane gli attacchi verso il Libano, da dove il gruppo armato sciita Hezbollah ha fatto partire numerosi missili verso le città israeliane di Galilea. Questo nuovo fronte del conflitto, con il coinvolgimento di uno stato sovrano come il Libano, preoccupa non poco il mondo intero. L’Unione eu- ropea ha richiesto ufficialmente una mediazione diplomatica tra Israele ed Hezbollah. Lo stesso Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha recentemente dichiarato che si rischia una nuova Gaza. L’Assemblea generale della Nazioni Unite ha approvato a maggioranza una risoluzione con la quale si chiede la fine dell’occupazione di Gaza da parte di Israele entro 12 mesi, il ritiro delle forze israeliane dai territori palestinesi, la cessazione di nuovi insediamenti, la restituzione delle terre e delle proprietà sequestrate e la possibilità di ritorno dei palestinesi sfollati. Voto sulla risoluzione che ha visto, ancora una volta, l’astensione dell’Italia, mettendo nuovamente in luce quanto il nostro Paese vergognosamente prediliga girare il volto dall’altra parte, rispetto a quanto sta succedendo in quell’area. Che la situazione sia particolarmente grave lo testimonia anche la richiesta di diversi governi ai propri cittadini di abbandonare velocemente il territorio israeliano. Una situazione quindi di alta tensione che si inserisce nel disegno del governo Netanyahu di fare di questo conflitto una sorta di garanzia di continuità del suo potere. Ad un costo evidentemente altissimo per le popolazioni di tutta l’area, compresi gli stessi israeliani. Resta il fatto poi che non sia più nelle intenzioni dell’amministrazione israeliana, come probabilmente non è mai stato, arrivare ad una trattativa con i palestinesi per un cessate il fuoco; anche perché, col proseguo di queste offensive, Netanyahu sta agendo per fare in modo di non avere più nessun interlocutore.