di Nautilus
Per far nascere l’Unione europea furono necessari a suo tempo diversi compromessi, alcuni dei quali, a distanza di anni, dimostrano di inceppare il meccanismo, impediscono di assumere tempestivamente decisioni dirimenti. Tra tutte le regole, quella che più pesa è sicuramente l’obbligo dell’unanimità tra i Paesi contraenti sui dossier più importanti. Una sola volta quella regola paralizzante fu “aggirata”, pur nel pieno rispetto dei Trattati. L’artefice di quel miracolo fu Bettino Craxi, quando era Presidente del Consiglio. Era il giugno del 1985 e a Milano si tiene il Consiglio europeo sotto presidenza italiana. Nonostante l’opposizione di due leader del prestigio e della forza di Mitterrand e Thatcher, la presidenza italiana fa circolare un documento che mette all’ordine del giorno anche la questione delle procedure di voto in Consiglio, arrivando ad ipotizzare che in futuro si sarebbe potuto deliberare anche a maggioranza. Ma davanti all’opposizione frontale di Paesi di quel peso, Craxi (con l’aiuto rilevante del suo ministro degli Esteri, Giulio Andreotti) si riposizionò su un fronte apparentemente di minor rilievo: gli italiani, rispolverando un articolo del Trattato costitutivo della Cee ancora in vigore, mise ai voti un emendamento che prevedeva la nascita di una Commissione intergovernativa per la revisione dei Trattati. La proposta venne approvata con il quorum previsto, a maggioranza, e aprì così una novità procedurale e anche la strada all’Atto unico del dicembre 1985 che, a sua volta, consentì di gettare le basi per il Trattato di Maastricht. I socialisti hanno sempre creduto ad una Europa sovrana, che da sola decidesse il proprio destino.