di Fabio Martini
E’ una regola antica e non invecchia mai: la distanza aiuta a comprendere meglio gli eventi della storia e i suoi protagonisti. Nel caso di Bettino Craxi il principio della distanza storica trova una conferma comprensibile anche ai più disattenti: durante la sua battaglia politica il leader socialista aveva smosso opposte e potenti passioni che, subito dopo la sua scomparsa, hanno impedito la piena comprensione della sua figura. Finalmente è possibile una risposta plausibile ad un enigma storico-politico da decenni irrisolto: quali furono le vere ragioni per cui cadde la Prima Repubblica? Dopo il crollo del Muro di Berlino gli Stati Uniti cambiano paradigma in tutti i Paesi che erano rimasti sotto la loro sfera d’influenza. Davanti alla gravissima crisi italiana, che è politica, giudiziaria, finanziaria e di protagonismo mafioso, nel giro di tre anni (1991-1993) si manifestano “due Americhe”, dietro le quinte drasticamente diverse tra loro: l’amministrazione Bush appoggia incondizionatamente il pool di Mani pulite e non fa nulla per coprire la vecchia classe dirigente che era stata a lungo supportata nella stagione anti-comunista. Dal 1993 l’amministrazione democratica di Clinton cambia radicalmente, ritira l’appoggio al pool di Milano e lo fa anche con un’iniziativa riservata e assolutamente irrituale. Un distacco enfatizzato: per stabilizzare l’Italia l’amministrazione Clinton incoraggia una nuova leva politica, investendo persino sugli ex comunisti e sugli ex missini. Gli americani non attuarono dunque un “piano x”, non pianificarono complotti, ma semmai si sdoppiarono, perseguirono due disegni diversi. Finendo però per determinare il risultato finale: l’espulsione rapida e definitiva di alcuni dei principali protagonisti della Prima Repubblica. E quanto all’azione di Mani pulite, inchiesta mossa da evidenze eclatanti, si sono moltiplicate nuove testimonianze sulle forzature: di particolare valore la “confessione” del giudice Guido Salvini, allora presso la Procure di Milano, che svela il “trucco” del Gip unico. Parla all’oggi il piano italiano di pace per il Medio Oriente che Craxi coltivò, d’intesa col presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Un piano del quale allora non si seppe molto ma che, alla luce di ulteriori testimonianze, getta una nuova luce sulla vicenda di Sigonella. L’attacco alla Achille Lauro fu mosso dalle frange che osteggiavano Arafat e il piano italiano che, a dispetto della fama filo-palestinese di Craxi, aveva un impianto gradualista, che puntava sull’autogoverno di Gaza e che avrebbe messo ai margini gli integralismi israeliani e arabi. Craxi, in questo e solo in questo simile a Berlinguer (ma non è poco), fu tra i pochi leader del secondo dopoguerra che provò a superare i rigidi confini segnati a Jalta. La sua vita politica è segnata dalla sfida per conquistare un bene prezioso: il massimo di sovranità, il massimo di libertà possibile per il proprio partito, per una sinistra di governo, per il proprio Paese.
Una gavetta lunga ventiquattro anni
Bettino Craxi si iscrive al Psi nel 1951 e, come si usava allora, passarono mesi prima dell’accettazione. Trascorsero 24 anni prima che diventasse segretario del Psi. Aveva fatto la gavetta in periferia, come assessore comunale, come deputato, come vicesegretario dell’Internazionale. Era ovvio affrontare un lungo cursus honorum, non esistevano ascese fulminee e rapide cadute. Allora andava così.
La sfida al Pci sulla egemonia culturale
La Biennale del dissenso del 1977, gli articoli di Mondoperaio, il saggio su Proudhon segnano le tappe della prima e ultima vera sfida sull’egemonia culturale in Italia, una battaglia delle idee, non sui “posti”. Dai documenti desecretati del Pcus, una lettera a Berlinguer per spingere alla mobilitazione contro la Biennale: seguiranno gli anatemi di alcuni intellettuali organici vicino al Pci.
Capo, accentratore e mai populista
Nella vicenda di Craxi c’è un paradosso: è il primo segretario di partito che personalizza, assume un piglio da uomo solo al comando, ma senza mai passare il confine oltre il quale ci sono demagogia e populismo. Ha scritto nel 2021 Gianfranco Pasquino, uno dei maestri della politologia: “Il decisionismo di Craxi, nella misura in cui si esplicitò, non voleva avere e non ebbe nulla di populista”.
Il debito pubblico, invenzione postuma
Dopo la scomparsa di Craxi l’accusa più infondata ha riguardato il boom del debito pubblico. Un’ idea che non sfiorò i contemporanei più autorevoli – il Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi – o detrattori inflessibili come Eugenio Scalfari. Studi puntuali e comparazioni raccontano la “vera storia” del debito, che si accumula negli anni della consociazione tra Dc e Pci.
L’“altra Sigonella”: gli antenati di Hamas
A Sigonella Craxi contenne l’ingerenza colonialista degli americani, ma in quella occasione subì anche l’attacco del fondamentalismo palestinese, che osteggiava Arafat e avrebbe preso sempre più spazio nei decenni successivi. Fu preso di mira il piano italiano di pace, avallato da Reagan che puntava sull’autogoverno di Gaza e della Cisgiordania. Un piano dimenticato e lungimirante.
Havel e Sacharov: “Grazie Craxi”
Solo dopo la morte di Craxi sarebbe diventata pubblica la straordinaria attività di sostegno a tante cause di libertà. Molti dei perseguitati di mezzo mondo saranno grati per tutta la vita e un affetto particolare lo vollero manifestare Andrej Sacharov e Vaclav Havel, con una frase bellissima pronunciata nella sua casa di Praga, mentre era ancora guardato a vista dalla polizia ceca.
Il Cile, la battaglia più ardimentosa
Tra le tante cause di libertà che Craxi sposò nella sua vita la più ardimentosa riguardò la sorte del Cile, dopo il golpe che aveva portato alla caduta del socialista Salvador Allende. Non si era mai saputo che Craxi arrivò a chiedere informalmente le dimissioni del direttore della Banca mondiale, il giovane Mario Draghi, “colpevole” di aver incoraggiato un piano per la ferrovia Transandina.
Mani pulite e le due Americhe
Dai dispacci diplomatici verso Washington emergono, durante la stagione di Mani pulite, due Stati Uniti, con approcci diversi tra loro: l’amministrazione Bush appoggia incondizionatamente il pool, mentre dal 1993 l’amministrazione democratica di Clinton ritira il sostegno. E tuttavia alla fine le due Americhe convergono nell’accompagnare l’uscita del più scomodo dei leader della Prima Repubblica.