di Giada Fazzalari
Lo scenario che si consuma da più di un anno in Medio Oriente è lo stesso: guerra, distruzione, atrocità e sofferenze ad oltranza. Da più parti si invoca la pace, mentre la soluzione a due Stati suona ormai come un mantra vuoto, anacronistico, i cui confini, peraltro, non si sono neppure mai discussi. E le coscienze collettive sono e saranno ormai compromesse da quanto accaduto dal 7 ottobre in poi, rendendo quell’obiettivo sostanzialmente impossibile. Per 75 anni, infatti, il principio di autodeterminazione dei due popoli si è sviluppato unicamente sul concetto di superiorità di una nazione sull’altra, di Israele su Palestina, a discapito di quello di cittadinanza, generando un radicalismo religioso che ci ha portati sin qui. Tutto questo mentre il mondo è dilaniato da 56 conflitti, il più alto numero registrato dalla seconda guerra mondiale. In questo risiko senza uscita, c’è una variabile che è ancora una carta coperta: la variabile Donald Trump, la cui imprevedibilità lascia aperte tutte le porte: dal disimpegno nella regione mediorientale, a una ulteriore escalation, al ridimensionamento della Nato e persino la pace. Ma chi davvero, nel mondo, lavora per una pace giusta? Le tensioni internazionali si moltiplicano. Le guerre che l’Europa vede alle porte di casa si inaspriscono, invece che calare di intensità. L’unico obiettivo che l’Occidente democratico sembra rincorrere è quello di armare una parte a danno dell’altra; non vi è più traccia di una capacità diplomatica, di mediazione, di dialogo, che un tempo vedeva le cancellerie europee eccellere, e tra queste l’Italia con grande capacità. Analizzare le priorità nella ricerca della pace, che per noi sono da sempre l’autodeterminazione e la libertà di un popolo, non può prescindere dalla consapevolezza che l’attività diplomatica corrisponde alla risolutezza delle scelte. E perché la pace non sia un momento tra una tensione ed un’altra, come spesso è successo nella storia anche recente, la pace deve essere giusta; va cercata attraverso una maggiore efficienza non delle armi ma del diritto, sanzionando pesantemente chi non è disposto a rispettarlo, quale che sia la sua parte in armi. La comunità internazionale deve imparare ad isolarlo. Le istituzioni internazionali non possono rimanere inerti di fronte ai massacri; ne va della loro autorevolezza e della loro stessa sopravvivenza. Ecco perché oggi la ricerca della pace deve farsi più pressante. Ed anche perché domani, se passasse la linea apparentemente tracciata dal nuovo capo della democrazia più potente del pianeta, ci troveremo con i fuochi di guerra forse soffocati dalla coperta della potenzialità bellica ed economica, ma non certo da una pace vera e giusta. Ed è per queste ragioni che servirebbe un impegno multilaterale internazionale, con una forza di interposizione che svolga il ruolo di difesa delle popolazioni, di spinta politica per ottenere una tregua vera e una pace duratura. Perché decine di migliaia di morti civili sono il prezzo altissimo che il mondo ha già pagato.