Vogliono uccidere la scuola pubblica

di Lorenzo Cinquepalmi

Non si dica che siamo fissati con la Costituzione se diciamo che per noi quello della scuola pubblica, universale e qualificata, è un principio non aggirabile. Come non aggirabile è l’altro principio costituzionale per cui, l’istruzione essendo libera, anche soggetti privati possono gestire scuole e università, ma “senza oneri per lo Stato”. La maggioranza reazionaria al potere, alle prese con la legge di bilancio, taglia risorse alla scuola pubblica e ne concede, tanto largamente quanto incostituzionalmente, alla scuola privata. E ancora più scandaloso è lo strumento impiegato: con l’erogazione di contributi alle famiglie degli studenti che si iscrivono a una scuola privata si incentiva la diserzione dalla scuola pubblica finanziando nel contempo soggetti e organizzazioni privati. L’intento equitativo dietro il quale si riparano i sostenitori di questo autentico scempio è, in realtà, solo apparente: per offrire davvero a tutti i giovani le stesse possibilità, bisogna investire, e molto, sulle scuole e università statali, non regalare soldi ai privati. Soprattutto mentre gli insegnanti pubblici attendono da ere geologiche che gli sia restituita la dignità sociale e salariale che spetta a chi ha in mano il futuro del paese. Ci si può davvero scandalizzare se la parola “rivolta” riprende a circolare? La ribellione, auspicabilmente pacifica, non può non montare quando si è governati da forze politiche che fanno strame dei valori della Repubblica antifascista, e non solo finanziando ciò che la Costituzione vieta di finanziare, ma calpestando in ogni occasione i principi di libertà e giustizia che sono il lascito della resistenza. In una situazione in cui l’opposizione parlamentare appare incapace di contrastare il governo, e non solo per insufficienza numerica ma per evidenti deficit qualitativi, l’iniziativa deve essere assunta in sede extraparlamentare, nelle strade, nelle piazze, nei luoghi di lavoro. E nella scuola, che è potenzialmente il più bel laboratorio del cambiamento. Se si vuole riconquistare una società realmente fondata sul lavoro, in cui il lavoro sia dignità e benessere, e in cui la base dei rapporti sociali sia l’eguaglianza e non la differenza tra chi ha e le moltitudini che non hanno, tra chi può imparare per migliorarsi e chi è tenuto nell’ignoranza. E così, dunque, tra scuole elitarie e scuole per tutti. E allora, che le scuole per pochi le paghino coloro che le vogliono, e ogni centesimo pubblico vada a migliorare la scuola pubblica. E con essa miglioreranno i nostri cittadini, la nostra società e l’intero Paese, del quale la scuola è, al tempo stesso, spina dorsale, cervello e, soprattutto, cuore. In essa sono custoditi i valori di una rinascita che il potere della ricchezza teme più di ogni altra cosa: scateniamoli.

 

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