di Francesca Tiozzo
I dati elaborati dall’ISTAT, su informazioni del Ministero della Salute, circa i ricoveri di donne con indicazione di violenza, sono ancora preoccupanti. Ancora, perché il dato tendenziale non diminuisce, come non diminuiscono, anzi, i femminicidi. Dal 2017 al 2021 sono state 6.211 le donne ricoverate nelle strutture ospedaliere dopo una violenza, con il numero più altro, 1.473, nella fascia d’età tra i 18 ed i 34 anni. 74 solo dall’inizio dell’anno le donne uccise da mariti, ex mariti o compagni. L’ultima campagna d’indagine ISTAT disponibile sulle violenze di genere, relativa all’anno 2014, riporta dati altrettanto impressionanti, a dimostrazione di come il fenomeno non sia certo una novità degli ultimi periodi: il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Di queste il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Questa del 2023 è un’estate che porta con sé ancora troppi episodi di violenza a danno delle donne. Per i femminicidi una speranza di giustizia, anche se in ancora troppi pochi casi purtroppo, la si può avere, nonostante il lungo tempo intercorrente tra il fatto la decisione sulla pena; sempre che il carnefice non decida, con un estremo e finale atto di vigliaccheria, di porre fine alla propria vita. Per avere giustizia degli stupri e delle diverse tipologie di violenza a cui sono sottoposte le donne, c’è invece ancora troppo da attendere, sperando che i fatti non vengano giudicati da magistrati pronti a trovare una qualche giustificazione nel comportamento dei criminali violenti. Perché succede anche, e lo abbiamo purtroppo visto più volte, che ci siano giudici uomini capaci di giustificare altri “uomini”. Per non parlare poi del fatto che, sempre più spesso, i carnefici sono ragazzi in giovane età. L’universo femminile è poi costellato da altre ingiustizie, presenti da tempo e sulle quali tutti si propongono di intervenire, ma poi poco in concreto si fa. Come nel caso delle retribuzioni: si parla tanto di salario minimo, ma non si nomina più il divario salariare che intercorre fra uomo e donna. E non si ricordano tutte quelle donne che sono obbligate a rimanere a casa perché, di fronte a necessità di accudimento di figli o parenti, tra i due stipendi di marito e moglie che entrano nel bilancio familiare, si decide di rinunciare al salario più basso, quasi sempre quello della donna. E sempre in questa estate, nella quale è stato soppresso anche il reddito di cittadinanza a circa 170.000 famiglie, non si ricordano tutte quelle donne, madri, casalinghe che si occupano del lavoro di cura, troppo spesso totalmente a carico loro e in tantissimi casi riguardante persone fragili, alle quali nessuno pensa spetti un reddito, un compenso per tutte le ore nelle quali svolgono effettivamente dei lavori non riconosciuti. Delle donne e dei loro diritti si sono dimenticati anche coloro che avevano avanzato l’ipotesi di rendere gratuitamente disponibile la pillola anticoncezionale; le ultime uscite sul tema del Ministro della Salute Schillaci, a luglio, portano ad un ulteriore rimando, camuffato dalla necessità di approfondimenti. Queste sono alcune delle troppe cose lasciate lì a decantare da questo Governo, delle attese e dei posticipi. A febbraio abbiamo visto introdurre per legge il congedo mestruale di tre giorni al mese per le donne con un ciclo particolarmente doloroso in Spagna, Paese vicino a noi e anche, fino a qualche tempo fa, politicamente affine. E mentre, sempre in Spagna, si sono raggiunte le sedici settimane di congedo di paternità ed altre nazioni del nord Europa sono ai vertici di questo primato già da molti anni, in Italia viviamo ancora un’epoca in cui la donna è vista come l’angelo del focolare. C’è ancora tanta strada da percorrere perché il nostro Paese faccia passi avanti nella sfera dei diritti, perché si mettano in campo azioni per aumentare l’occupazione femminile e per provare a raggiungere la parità nei ruoli. C’è ancora molto da fare perché maturi una cultura meno tradizionalista e meno patriarcale, fondata sulla necessità dell’uomo di prevalere, sempre, anche con la violenza se necessario, rispetto alla donna. C’è da fare. Lo facciamo e lo faremo.