Una nuova sinistra per una nuova Resistenza

di Alberto Tedesco

Quando con legge 18 ottobre 2001, n.3 furono introdotte modifiche al Titolo V della seconda parte della Costituzione, l’assetto del governo territoriale fu sensibilmente modificato e i preesistenti rapporti tra lo Stato e gli enti periferici furono profondamente innovati. Gli Enti Locali divennero, così, gli interlocutori principali dei cittadini, le cui istanze e i cui bisogni sarebbero stati chiamati a soddisfare precipuamente. In base al principio di equiparazione, poi, la nuova Repubblica si sarebbe articolata da quel momento in Comuni, Province, Aree Metropolitane, Regioni e Stato, senza sovra-ordinazione alcuna tra di loro. Alla ridefinizione delle competenze tra Stato e Regioni, il riformulato terzo comma dell’art. 116 aggiunse, altresì che, ferma restando l’autonomia delle Regioni a Statuto speciale, quelle a Statuto ordinario avrebbero potuto vedersi assegnate, a richiesta, condizioni particolari di autonomia in materie determinate. L’introduzione del cosiddetto regionalismo differenziato si sarebbe quindi applicata con legge approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, previa intese tra Stato e Regioni richiedenti e parere degli Enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’art.119 della Costituzione. Questo si stabiliva nel 2001 (governo Amato), modificando la Costituzione, senza mai porsi il problema di una verifica seria di trent’anni di Regionalismo e senza preoccuparsi minimamente di quanto di peggio sarebbe potuto accadere. E se qualcuno sollevava obiezioni o dubbi fondati, la risposta era: è la Lega, bellezza!!! Già, bisognava fare i conti con Bossi e la sua allegra brigata scarrocciante e a qualcuno venne l’idea brillante (D’Alema) che li si sarebbe potuti fare con – diciamo così – provvedimenti omeopatici. Nei vent’anni successivi (2002-2022), a parte il notevole aumento del contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni circa l’interpretazione dell’esercizio delle competenze per materia (esclusive o concorrenti) non è accaduto altro. I governi succedutisi in quel periodo, di qualunque matrice fossero (centrosinistra, centrodestra, tecnici, gialloverdi o giallorossi) si sono ben guardati dal cedere alle pressioni del partito di via Bellerio e hanno continuato come se si agisse a Costituzione invariata. Ma le elezioni politiche del 2022, con il centro-destra minoranza nel Paese e maggioranza in Parlamento, hanno determinato la svolta cruciale. Il pactum sceleris tra la Presidente Meloni e la Lega di Salvini, accettato o subito pedissequamente da Forza Italia orfana di Berlusconi, ha sbloccato l’attuazione dell’autonomia differenziata nell’intesa di introdurre nell’ordinamento l’elezione diretta del Capo del Governo, senza ulteriori bilanciamenti dell’esercizio dei poteri e, anzi, sottraendo al Presidente della Repubblica la prerogativa dello scioglimento delle Camere, con ciò consegnando il Parlamento alla mercè esclusiva del Premier. Tale norma, se approvata – come pare – nel combinato disposto con una legge elettorale infame, ridurrà i parlamentari a zerbini degli Esecutivi e svuoterà il Parlamento e la sua funzione legislativa del potere di indirizzo e controllo del Governo. Siamo ad un vero e proprio colpo di stato strisciante, aggravato dal progressivo asservimento della informazione pubblica al potere costituito. Il referendum abrogativo della legge sul regionalismo differenziato, l’opposizione senza quartiere all’iter approvativo del premierato e la modifica dell’attuale legge elettorale devono, dunque, costituire il nuovo fronte di resistenza di una nuova sinistra, capace di ricomporre la propria unità, di aggregare le forze sociali e dell’impresa, di mobilitare l’opinione pubblica dell’intero Paese in difesa della democrazia, della libertà e del benessere sociale e civile dei cittadini italiani. Una sinistra nuova e federata, nelle sue accezioni radical-ambientaliste, progressiste e riformiste, deve essere finalmente capace di dar vita, sull’abbrivio del buon risultato delle europee nonché dei recentissimi successi in Francia e nel Regno Unito, ad un campo vero di rappresentanza dei ceti deboli, di governo dei conflitti sociali, di difesa dei diritti civili, di riforma delle storture esistenti nel servizio sanitario, nell’istruzione e nelle politiche per il lavoro. Una nuova sinistra in grado di lottare per il salario minimo, per il contrasto alle povertà, per il futuro delle giovani generazioni e per la tutela delle persone anziane, per la salvaguardia dell’ambiente, del clima e del territorio. Vaste programme per una nuova sinistra e un nuovo socialismo che sappiano ritrovare la sintonia con il Paese reale, per liberarlo dai pericolosi ed evidenti rigurgiti autoritari che caratterizzano l’attuale governo delle destre.

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