di Giada Fazzalari
Il silente ma mai cessato conflitto israelo-palestinese è riesploso in tutta la sua eccezionale violenza con la presa di alcuni centri abitati israeliani da parte dei combattenti di Hamas. Non si era mai vista, nei più di settant’anni di rapporti tesi tra le fazioni, una azione così tipicamente terroristica messa in atto dai miliziani ultra estremisti palestinesi: la brutale uccisione di civili inermi, il rapimento dalle proprie case di intere famiglie, probabilmente portate in quel dedalo di edifici che è Gaza City, con i suoi quasi seicentomila abitanti stipati in un esiguo numero di chilometri quadrati, per garantirsi una sorta di protezione. Azioni vigliacche, anche questa è una novità, riprese con gli smartphone e le immagini trasmesse istantaneamente in tutto il mondo. È naturale chiedersi dove fosse l’addestratissimo esercito israeliano in quei momenti e come mai non avesse mantenuti blindati i confini. Così come ci si interroga sulla defaiance dell’intelligence di Tel Aviv. Certo è che queste prime giornate di guerra ripresa, cambieranno Israele per sempre. Con il rischio di cambiare per sempre anche tutta la geopolitica mediorientale. Interrogarsi sulle motivazioni di questa escalation è esercizio vano; è dal maggio del 1948, dall’abbandono degli inglesi del loro mandato su quei territori, che la situazione non è riconducibile almeno alla parvenza di una normalità. Ci hanno provato in più riprese coraggiosi leader israeliani come Yitzhak Rabin, Shimon Peres ed Ehud Barak. Tutti laburisti; non a caso. Imboccando strade difficili. Ma si è sempre tornati al punto di partenza. Governi conservatori sono stati meno aperti alla pace. La situazione vede ora in terra palestinese prendere forza ancora una volta l’estremismo fanatico-religioso di Hamas, che dopo le operazioni di questi giorni rafforzerà le sua fila; nell’altro versante il Governo a traino Likud di Benjamin “Bibi” Netanyahu, che annovera in sé le anime altrettanto estremiste in campo israeliano, chiederà una vendetta esemplare. E non sarà certo l’invocato esecutivo israeliano di unità nazionale, in un momento così tragico, a portare le parti in lotta a sedersi attorno ad un tavolo. Mala tempora currunt per tutto il medio oriente, mentre il terreno di guerra si è allargato. Nell’almeno apparente incapacità, sia delle democrazie occidentali che delle nazioni arabe, di arrivare a quella soluzione più volte auspicata, ma forse mai voluta davvero da entrambi i contendenti: due popoli, due stati; liberi ed indipendenti.