Un muro, un violoncello e il sogno della libertà

di Lorenzo Cinquepalmi

Per chi ha più di quarant’anni le note della suite per violoncello solo di Bach rappresentano l’emozione del ricordo di Rostopovich che suona davanti al muro di Berlino mentre crolla sotto la spinta di decine di migliaia berlinesi in marcia verso il sogno della libertà e del benessere. Ciò che non potevamo immaginare erano le conseguenze e lo stravolgimento della vita politica che quell’evento avrebbe determinato. Infatti la fine del potere sovietico, che sarebbe arrivata un paio di anni dopo la caduta del muro, ha determinato il sovvertimento degli equilibri tra politica e economia in occidente e soprattutto in Italia. La fine del pericolo militare sovietico ha tolto al potere politico occidentale il principale argomento attraverso il quale imporre al capitalismo internazionale quei limiti che fino all’inizio degli anni ‘90 avevano garantito un sistema di bilanciamento della ricchezza, per quanto imperfetto, senza dubbio migliore e più favorevole agli ultimi dell’attuale. In particolare, il vasto e diffuso sistema di economia pubblica caratteristico degli stati europei del secondo dopoguerra, dopo la fine dell’equilibrio tra i due blocchi ha subito l’assalto famelico e distruttivo della finanza internazionale. È stata una stagione che ha visto anche, non casualmente, il netto prevalere del capitalismo finanziario sul capitale manifatturiero. Quindi, per quanto la tesi possa sembrare ardita, esiste una relazione innegabile tra la caduta del Muro di Berlino e la crescita tumultuosa del disequilibrio tra la moltitudine dei poveri e una frazione infinitesimale della popolazione che detiene la grande maggioranza della ricchezza. La debolezza della politica è l’origine della debolezza della classe media e delle classi popolari. Il corto circuito generato dall’emarginazione del potere militare monopolio della politica, necessario in occidente fino al 1989 per bilanciare la forza nemica dell’Unione Sovietica, sembra oggi insanabile. Si potrebbe obbiettare che la condizione più favorevole per le masse occidentali, in quanto derivante dalla forza dell’avversario sovietico, aveva il prezzo della disperazione delle masse d’oltrecortina, ed è vero. Eppure, quell’equilibrio non è l’unico possibile: politica ed interessi popolari sono astrattamente vincenti rispetto ad un potere economico sempre più concentrato, la cui unica arma è la capacità di comprare i suoi avversari. In fondo, quello che manca, è un innesco. Un catalizzatore di questi interessi capace di farne detonare la potenza per invertire il senso di rotazione della spirale. È già successo nella storia: se qualcuno avesse detto a un contadino del Delfinato nel 1780 che pochi anni dopo il popolo avrebbe tagliato la testa al re, sarebbe stato deriso. E allora, oltre all’emozione per il violoncello di Rostopovich, il ricordo del 1989 deve suscitare in noi la volontà di creare le condizioni per incendiare la miccia e cambiare con una rivoluzione pacifica e inarrestabile l’equilibrio tra la politica e la grande ricchezza. Riportare la gente a votare deve essere il prossimo muro da abbattere. Anche senza evocare la guerra santa dei pezzenti è facile capire che la situazione è prossima ad un punto di rottura. Esattamente come trentacinque anni fa a est di quel muro, oggi la massa di diseredati che possono solo guardare il benessere senza goderne rappresenta una forza potenziale pari a quella che travolse la cortina di ferro. Il disagio dei milioni di persone che dopo avere rinunciato a portare i figli al cinema o a mangiare la pizza, e poi a inseguire per essi il sogno di un’istruzione di alto livello, e poi addirittura la legittima aspirazione a cure sanitarie universali e gratuite, quel disagio che fino a oggi è stato sfruttato in modo disonesto dal populismo, sarà il motore del cambiamento al quale già oggi è impossibile sottrarsi. La profezia sul luogo in cui scoppierà l’incendio ha già tradito Marx e sarebbe stupido avventurarsi in una simile previsione Eppure gli orfani del welfare sono soprattutto in Europa. Ecco perché ha senso immaginare che proprio laddove si sono posate le macerie della cortina di ferro possa nascere quella rivoluzione tranquilla che, attraverso il ritorno al voto, restituisca alla politica il ruolo di tutela dei più deboli smarrito nell’ultimo trentennio.

Ti potrebbero interessare