Tra i giornalisti e magistrati l’ora di separare le “carriere”

di Nautilus

Sulla recente disposizione che impedisce di pubblicare integralmente le ordinanze di arresto si è accesa, come sempre in Italia, una guerra di religione. C’è chi grida al bavaglio; chi si compiace per l’ampliamento delle garanzie per chi viene arrestato nel corso delle indagini e chi ritiene che avvolgere un processo nel silenzio fino al dibattimento, impedendo la verifica a distanza dell’opinione pubblica, rischia di essere penalizzante anche per l’arrestato. In altre parole il giornalista, potendo scegliere, in buona fede o anche no, cosa sintetizzare dell’indagine, potrebbe omettere passaggi significativi, mentre una trascrizione letterale lascerebbe il lettore libero di valutare. Il sindacato dei giornalisti deciderà a gennaio se arrivare ad uno sciopero ma anche in questo caso glissando su un punto delicato che riguarda la categoria: ad ispirare questa nuova norma, in larga parte sbagliata, in fin dei conti c’è la scarsa fiducia verso chi informa. Non è un caso. I giornalisti hanno perso molta credibilità e sono oramai dei fuoriclasse nel negare la weberiana etica della responsabilità: assumersi gli oneri delle proprie scelte. In Italia i giornalisti (non tutti, si intende) sono sempre stati consociativi con tutte le corporazioni: i giornalisti economici con le imprese, i giornalisti sportivi con i grandi calciatori, i giornalisti politici con i leader (di governo o di opposizione), i critici cinematografici con i grandi registi e i giornalisti giudiziari con i magistrati. È stato vero fino agli anni Ottanta, quando la Procura di Roma era il “porto delle nebbie” ma è rimasto vero negli anni di Mani pulite quando i giornali (di proprietà delle grandi imprese o del Pci) hanno fatto da cassa da risonanza delle indagini. I media, anziché fare massa critica, si sono rivelati massa acritica verso un’attività della magistratura, che non sempre era “ispirata” da una mano invisibile, ma sempre avrebbe meritato un elevato spirito critico. Non è stato così e oggi, quando il sindacato dei giornalisti protesta può avere le sue buone ragioni ma il suo contrasto avrebbe una maggiore credibilità se vi si affiancasse una robusta autocritica. Tardiva ma sempre benvenuta. Qualora arrivasse.

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