di Stefano Amoroso
La regola aurea dell’antiterrorismo è quella di agire nell’ombra. Se il terrorista, soprattutto quello che agisce in un quadro internazionale, ha bisogno di compiere attentati che siano spettacolari, ripresi dai media e che suscitino panico e disorientamento (oltre che molte vittime, ovviamente) nell’opinione pubblica, chi lo contrasta dev’essere discreto, paziente, cercare di prevenire e, quando colpisce, lo deve fare con il minor spargimento di sangue possibile. Imperdonabile, per qualunque esperto dell’antiterrorismo, colpire nel mucchio e rischiare di fare vittime innocenti. Il terrorismo è come un un batterio: si propaga spargendo spore dappertutto. E le spore sono una forma di resistenza estrema dell’organismo: possono sopravvivere a tutto, inclusa la disidratazione, i raggi ultravioletti e le temperature estreme. Poi, appena si presentano le condizioni favorevoli, le spore si risvegliano e riprendono a crescere. È proprio per la natura del terrorismo, soprattutto se internazionale, che l’attuale campagna di Israele a Gaza risulta incomprensibile, inutilmente sanguinosa e, probabilmente, destinata all’insuccesso. Avendo ormai devastato la gran parte della Striscia di Gaza, e dopo aver ucciso oltre ventimila persone, tra cui anche una parte degli ostaggi israeliani che l’operazione militare ambisce (almeno a parole) a salvare, il Governo israeliano si sta rendendo conto di essersi infilato in una via senza uscita: anche se Sinwar, il presunto capo di Hamas, venisse scovato ed ucciso domani, la sicurezza d’Israele non sarebbe aumentata. Inoltre, con oltre 130 ostaggi nelle mani dei terroristi di Hamas e dei loro sodali, qualsiasi Governo israeliano, oltre ai vertici delle Forze Armate e dei Servizi di Sicurezza, nei prossimi anni dovranno fare i conti con la rabbia dei familiari degli ostaggi e di un’opinione pubblica sempre più stanca di questa situazione. Infine, resta il grande enigma del futuro di Gaza. Ipotizzando una futura sconfitta di Hamas, da chi (e come) verrebbe governata quella terra sovraffollata, rasa al suolo e completamente priva di risorse? Come evitare che le nuove generazioni palestinesi diventino i futuri soldati di Hamas o, magari, di una sua versione futura ancora più sanguinaria? Il problema delle spore, infatti, è che non solo sono estremamente resistenti, ma tendono pure ad infettare gli altri organismi con cui entrano in contatto. Per contrastare efficacemente il terrorismo di Hamas, invece, oltre ad una capillare raccolta d’informazioni, servono istruzione, lavoro, offrire un futuro dignitoso alla popolazione civile palestinese. Certamente, in qualche caso bisogna compiere delle operazioni mirate: esecuzioni (affidate a sicari esperti, che colpiscano solo l’obiettivo prescelto), arresti, confische ed esili. Tutto quello che finora non abbiamo visto.