di Alessandro Silvestri
E fu così che accanto a clientes e parentado d’Italia vario, si giunse a coniare nel primo anno dell’era Meloni, anche l’epiteto inimmaginabile di “compagni d’Italia”. E Michail Bakunin in questo caso, non c’entra un bel nulla. È roba assai più recente e nostrale, parte del sedimento familistico che caratterizza da sempre un certo tipo di corporativismo italico, quello che nelle occasioni e ricorrenze si ritrova allegro e chiassoso, con robusto appetito e buoni propositi e non di rado, con qualche calcione ben assestato negli stinchi, intorno al tavolone imbandito. Anche perché la capotavola, per una discreta serie di buoni motivi, cagionati dal suo entourage, è sempre più accigliata ultimamente. Ma non è soltanto colpa sua. Il piede di porco del “rosatellum” congegnato da Matteo Renzi per scardinare definitivamente (in suo favore) i portoni del potere, è capitato per gli strani gorghi dell’antimateria politica, nelle mani della prima vera outsider della II Repubblica.
Eccoci dunque arrivati all’ennesimo “casus belli” dopo le innumerevoli parole in libertà, un vero e proprio florilegio di gaffes a crescita esponenziale, di esponenti della maggioranza, è ora il turno del compagno e first gentleman (il primo nella storia italiana, almeno un record lo ha già) della Presidente del Consiglio, Andrea Giambruno, che di mestiere fa il giornalista (guai a pensare che abbia ricevuto trattamenti di favore per la carriera perché ha un curriculum di tutto rispetto) e anche di discreto successo. Ed è proprio e soprattutto per questo motivo che avrebbe dovuto, in un Paese normale, fare un passettino indietro, almeno nel tempo necessario alla sua compagna a ricoprire un incarico così delicato, visto che tutto quello che fa e dice è tremendamente amplificato dal circuito mediatico. Almeno le basi ragazzi! E poi non dimentichiamoci di un fattore altrettanto esiziale: se tu sei il partner di un capo di Governo, diventi automaticamente detentore e fonte di notizie su interessi nazionali, ragione ulteriore e rafforzativa per mantenere un basso profilo e metterti casomai in tranquilla aspettativa. Anche se non abiti al numero 10 di Downing Street. E invece no, siccome ora tocca a loro, non perdono occasione di farci sapere quanto poco siano preparati a svolgere impegni così delicati e determinanti. E il via alle polemiche quotidiane basta servirle shekerate (tanto agitate lo diventano da sole) come il Vesper Martini di James Bond. Le ultime in ordine di apparizione, hanno riguardato peraltro alcuni dei temi caldi del momento, dalla violenza di genere agli ultimi casi di stupro: “Se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo cattivo lo trovi”. Al negazionismo climatico, memorabile il siparietto con Vittorio Feltri a luglio: “Che in estate faccia caldo non è poi questa grande notizia” e via a perculare gli ambientalisti. L’ultima, quella sulla “transumanza” dei migranti al “Berlusconi Day”. Insomma nulla di nuovo in buona sostanza, il solito linguaggio un po’ cazzaro da bar che ha contraddistinto nell’ultimo trentennio le destre del Belpaese. Papeete incluso. Ma se tu vivi con un premier di un Paese importante come l’Italia, la consegna del silenzio dovrebbe essere in cima alle priorità. Anche perché non si ricordano, a memoria di chi scrive, esternazioni di coniugi o partner dei principali capi di stato occidentali. O quantomeno non così imbarazzanti. Di certo la Meloni, di e con qualcuno nel suo cerchio ristretto, dovrà pur fidarsi e confrontarsi, ma a mano a mano che i mesi passano, e le responsabilità aumentano, il numero degli affidabili sembra essere afflitto da un restringimento inversamente proporzionale. Giorgia ha già raschiato il fondo, a quanto pare. E lo spauracchio del governo tecnico è lì dietro l’angolo se alle amministrative ed europee 2024, dovesse palesarsi il flop di FdI. E come dicevamo, la colpa non è soltanto sua, ella si è casomai illusa che il consenso popolare fosse sufficiente a fornire il propellente per durare cinque anni a Palazzo Chigi. Come cerca di raccontare, sempre più stizzito anche il fido Donzelli in ogni salottino tv. Cercando se possibile di fare anche bene e di lasciare una impronta duratura di buon governo, sdoganando definitivamente gli eredi del MSI dall’atavica subalternità storica e culturale. Senza rendersi conto di maneggiare nitroglicerina, perché è matematicamente impossibile che un partito del 4% che balza all’improvviso al 30% trovandosi a gestire un minuto dopo almeno il 60% dei posti di potere a più livelli, possa avere una classe dirigente minimamente all’altezza, senza andare a pescare altrove. Senza contare che serviranno candidati credibili e preparati per gli oltre 4.000 comuni in scadenza l’anno prossimo e per i rappresentanti nel Parlamento Europeo. Per questo motivo, è proprio nella peggior legge elettorale del mondo esistente in un Paese democratico, che è inoculata la principale insidia, che porta inevitabilmente sulla via del fallimento, qualsiasi compagine minoritaria e populista si trovi catapultata all’improvviso alla guida del proprio Paese. È la mela avvelenata lasciata in dote dalla stagione renzista. Dove il popolo (da sovrano a servo) è chiamato a ratificare le scelte del capopopolo di turno, quello in quel determinato momento più in auge, senza poter scegliere il proprio parlamentare di riferimento nel collegio. Una partita tutta a scatola chiusa, dove la democrazia ne esce con le ossa rotte. E nel frattempo la qualità di deputati e senatori scema ad ogni turno elettorale.