Una manovra attendista, senza soldi e senza idee

di Stefano Amoroso

Con il via libera definitivo alla Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF in sigla), approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 27 settembre, nell’ultimo giorno utile, la Manovra Finanziaria entra nel vivo. Sono confermate le indiscrezioni che parlavano di una manovra con poche risorse: con soli 14 miliardi di euro di spesa, si tratterà di una delle manovre più povere di sempre, anche considerando quelle antecedenti l’euro. Il deficit è previsto in calo al 4,3%, dal 5,3% di quest’anno, e le previsioni di crescita economica sono state ridotte allo 0,8% quest’anno (sostanzialmente in linea con le previsioni internazionali, in primis di Commissione Europea ed OCSE) e ad un +1% nel 2024, leggermente al di sopra delle previsioni dell’OCSE (+0,8% secondo l’istituto di Parigi), ma niente che non possa essere corretto con interventi in corso d’anno. Per dare un’idea di quanto sarà ridotto il budget a disposizione del Governo basti pensare che l’anno scorso, con una manovra espansiva ed in gran parte già preparata dal Governo Draghi, erano stati previsti 21 miliardi per la lotta contro il caro energia, a tutela di imprese e famiglie povere. Quindi una singola misura, benché importante, valeva più di tutta la manovra finanziaria di quest’anno. Il Ministro Giorgetti, che già dall’inizio dell’estate ha cominciato a frenare gli ardori della maggioranza ed a mettere le mani avanti, ha parlato delle coperture di questa manovra: sostanzialmente verranno dalla vendita di beni dello Stato e dalla lotta all’evasione. Il che significa che si tratta di coperture molto tenui, e di là da venire nel tempo. Sostanzialmente, quindi, il Governo Meloni intende ricorrere all’indebitamento per finanziare questa (mini) manovra. La stessa premessa della relazione al Parlamento spiega, in poche righe, le ragioni alla base dell’atteggiamento del Governo: “Il rallentamento del quadro macroeconomico registrato negli ultimi mesi, il deterioramento delle prospettive di crescita a livello globale e una dinamica dei prezzi ancora sostenuta incidono sensibilmente sul potere di acquisto delle famiglie e sulla competitività delle imprese. Si rende, pertanto, necessario adottare misure urgenti con cui contrastare tali fenomeni.” Più avanti nel documento, si spiega che l’indebitamento a cui si vuole ricorrere è minimo: 0,8% nel 2023, 0,6% nel 2024 e 0,4% nel 2025. Una manovra timidamente anticiclica, dunque. Probabilmente coscienti degli scarsi margini di manovra che ha il Paese, i ministri di materie economiche (Giorgetti ed Urso in testa) devono aver consigliato alla Meloni una certa prudenza per non esporsi troppo ai possibili attacchi speculativi dei mercati finanziari e conservare un certo margine per i prossimi anni, se le cose dovessero peggiorare. Essendo coscienti che l’economia e l’occupazione, sospinte dal PNRR, per ora reggono, evidentemente al Governo attendono il momento buono per realizzare le promesse elettorali folli che li hanno portati a Palazzo Chigi, dalla flat tax generalizzata all’abolizione della Legge Fornero, fino agli ampi sostegni promessi a diversi comparti produttivi. Invece di avere il coraggio di perseguire la propria visione dell’economia e di cercare di realizzare almeno una parte del programma elettorale che li ha fatti trionfare alle elezioni di un anno fa, i leader del centrodestra scelgono la via dell’immobilismo e del rinvio in una fase cruciale per l’economia nazionale e mondiale. Nei fatti, è rinviata al prossimo anno la riforma fiscale che è cruciale per lo sviluppo del Paese; così come vengono rinviate le misure per la transizione ecologica, che ci potrebbero consentire di entrare nel gruppo di testa dei Paesi che guidano questa fase delicata e determinante per lo sviluppo dell’umanità. Scomparse anche le già flebili tracce della transizione energetica italiana: nessun rilancio sulle energie rinnovabili, nessun passo avanti sull’estrazione di gas dai mari italiani, nulla sul nucleare di quarta generazione. E nessuna parola sulla produzione di batterie elettriche italiane. Con la conseguenza che il gruppo Stellantis, che voleva realizzare un grande impianto nel Sud Italia, a Termoli in Molise, per ora ha rinviato l’investimento ipotizzato. Mentre lo scorso 30 maggio, a Douvrin, nel Nord della Francia, è stato inaugurato il mega impianto previsto oltralpe. L’investimento della Stellantis è stato supportato dal Governo francese con 1,3 miliardi. L’economia è una questione di tempismo e decisionismo, che sembrano entrambi difettare al Governo Meloni. E, come direbbe Don Abbondio nei Promessi Sposi: “Il coraggio, uno non se lo può dare”.

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