Terzo mandato, specchio della mancanza di visione e strategia del governo

di Gianvito Mastroleo

La modifica della disciplina del terzo mandato per Sindaci e Presidenti di Regione, nella maniera immaginata da uno dei partiti della maggioranza, è lo specchio della mancanza di visione, di strategia di lungo periodo del governo in carica; in verità, anche di altri governi di quest’ultimo trentennio. Infatti, l’ultima riforma degna di quel nome che ha riguardato Comuni e Autonomie locali è la legge 142 del 1990: quello che è arrivato dopo ha obbedito a presunte ragioni di emergenza o, assai peggio, a contingenti, se non partigiane, pretese della politica e dell’abuso, sempre in agguato, della sua “personalizzazione”. Le modifiche ordinamentali, infatti, si sono succedute sotto la spinta della cosiddetta “governabilità” o dal tentativo di contrastare quella che al tempo si definì la “partitocrazia”: ma quando i Partiti, non senza qualche eccesso, esercitavano il ruolo loro proprio, alla luce del vigente sistema costituzionale. Si è obiettato che il terzo mandato genererebbe una sorta di “satrapismo”: che, peraltro, già in atto e che si dovrebbe arginare, con volontà e coraggio. Il coraggio che solo un piccolo partito si può concedere (forte della posizione minoritaria e della sua storia) sapendo che quelli al governo, o che aspirano a tornarci, non lo faranno mai. Un coraggio che per il Psi dovrebbe essere connaturale per la necessità di individuare quello un tempo era “il blocco sociale” di riferimento, ma anche per la sua storia: fra gli anni ‘70 e ‘80 del novecento, infatti, il Psi si è dedicato molto allo studio dei più importanti istituti del governo locale: finanza, elezione diretta di Sindaci e Presidenti, Città Metropolitana, Province, competenze delle Regioni. Il tragico biennio 1992-94 interruppe questo processo virtuoso e preferì individuare nella partitocrazia (e nella più comoda via giudiziaria) la madre di tutti i vizi dell’italico sistema, con il ricorso emotivo ma eccessivo alla “legislazione emergenziale” nel tentativo (purtroppo non riuscito) di abbattere i fattori degenerativi, primo fra tutti la corruzione, ascritti ai partiti politici e alla loro voracità di potere e risorse. Fu così che in particolare nel 1993, auspice il Pds, furono approvate in Parlamento leggi e leggine volte a: annullare del tutto il ruolo delle Assemblee comunali e provinciali; eleggere direttamente Sindaci e Presidenti di Regione assegnando loro, nel contempo, prerogative mai immaginate nel passato e sottratte alla competenza di Giunte o Consigli; concentrare nel potere di Sindaci o Presidenti la nomina (o revoca), al di fuori di ogni controllo, di dirigenti e finanche funzionari responsabili della legalità, come i Segretari generali; sopprimere ogni forma di “controllo” (lavandosi così la coscienza con il “centralismo”), istituendo i “controlli interni”, cioè nessun controllo; considerare gli assessori niente più che meri “collaboratori” del Sindaco, privi di rappresentanza elettiva, revocabili ad nutum e al di fuori di ogni obbligo di motivazione e responsabilità. In pratica, gli eccessi (in qualche caso veritieri) dei partiti semplicemente trasferiti (pur con qualche simulacro di democrazia) al dominio di singoli, peraltro liberi da ogni controllo: dalla “partitocrazia” dominio di pochi, alla “personalizzazione” assolutismo dei singoli. Il vero atto di morte dei partiti. Il satrapismo, o più semplicemente l’orgia del potere, non avrebbe inizio con il terzo mandato, dunque, ma potenzialmente nasce già il giorno successivo all’indosso della fascia tricolore. Per la riconosciuta storia autonomista e anti-centralista il Psi potrebbe alzare questa bandiera chiedendo non il “ritorno al passato” ma la revisione della legislazione emergenziale, una volta esaurite o inefficaci le motivazioni di origine, con il ritorno alle regole della rappresentanza proprie di ogni ordinamento democratico. In pratica, il rispetto di regole certe e l’esercizio della rappresentanza, sempre e comunque, sotto il controllo democratico; il ripristino del ruolo e delle prerogative delle Assemblee (comunali e provinciali) e di quelle legislative; la modifica dell’ordinamento delle Città Metropolitane, con elezione diretta di un Sindaco distinto da quello della Città capoluogo; la restituzione alle Province del ruolo previsto dalla riforma del 1990; più che alla benevolenza di questo o quel governo e con le anzidette premesse, considerare possibile il terzo mandato. Queste le modifiche più urgenti volte a superare l’ “emergenza” in attesa di mettere mano ad una seria “verifica” sul regionalismo e sulla Legge 142/90. Un progetto ambizioso, certo, ma la cui complessità non dovrebbe impedire d’intervenire su un vero sgorbio democratico, il dominio assoluto di Sindaci e Governatori sulle nomine (e non solo!), visto che la “partitocrazia” di quel tempo antico è semplicemente peggiorata nella “personalizzazione” che ha divorato i partiti. Sulle questioni appena accennate una discussione, con il crisma della verifica scientifica, negli organi di partito sarebbe a portata di mano, prima di darvi seguito con un confronto pubblico con forze politiche e sociali che vogliano davvero praticare la democrazia decidente.

Ti potrebbero interessare