Terremoto in Portogallo e Spagna, tra omonimie furbette e rivincite autonomiste

di Alessandro Silvestri

Lisbona, prima decade di novembre. Un clamoroso errore della magistratura portoghese, alla base dell’ultimo caso politico che tocca addirittura la vita democratica dell’intero Paese. E sì perché dietro le dimissioni di António Costa, leader del Partito Socialista lusitano e primo ministro dal 2015, per il caso dell’inchiesta “Operação Influencer” c’è addirittura un banale quanto clamoroso errore di trascrizione delle intercettazioni telefoniche, che in realtà riguardano il ministro dello Sviluppo economico e quasi omonimo dell’ormai ex capo del governo, António Costa Silva. Un bel pasticcio che rasenta il grottesco e che, ancora una volta, fa emergere un conflitto tra i poteri dello Stato, mettendo a nudo l’enorme differenza di prerogative che tuttavia diversificano i destini del soggetto politico rispetto a quello giudiziario. Il primo quando sbaglia (e anche quando non sbaglia evidentemente) si dimette e il più delle volte anche quando risulta poi innocente, ha vita e carriera completamente rovinate; il secondo resta il 99,99% delle volte tranquillo al suo posto, cavandosela casomai con lievi sanzioni amministrative. Gettando ingiustamente discredito sulla categoria. È evidente, facendo un facile parallelo con l’Italia, che l’equilibrio tra i poteri, sia rimasto fino ad oggi meramente sulla carta. Non è possibile però continuare ancora su questa strada dissestata. Ne va dello stesso istituto democratico, già pieno di problemi per conto suo. Va rilevato che effettivamente la Procura generale sta indagando dalla primavera 2022 su episodi di corruzione e traffico di influenze, relativi a fondi e investimenti legati all’energia “verde”. Nello specifico, la miniera di litio Romano y Barroso nei pressi di Boticas, al Nord del Paese, considerata la più importante d’Europa e il progetto di produzione e stoccaggio di idrogeno di Sines, in sinergia col porto olandese di Rotterdam. Operazioni indubbiamente di grande rilevanza sia per il Portogallo che per la UE, sul fronte delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione. Cinque dei principali accusati sono stati già rilasciati dietro cauzione e obbligo di residenza, come il capo di gabinetto di Costa, Vítor Escária, beccato col sorcio in bocca: 75.800 euro nascosti tra i libri e alcune casse di vino del suo studio a São Bento. E come d’altra parte la “gola profonda” dell’operazione giudiziaria, nientemeno che Diogo Lacerda Machado, grand commis d’état, consigliere e amico di vecchia data dell’ex capo del Governo. Anche se nelle intercettazioni in mano agli inquirenti parla chiaramente di Costa Silva, il ministro. E ribadisce anche attraverso i suoi legali che il premier dimissionario è sempre stato all’oscuro dalla girandola di influenze sollecitate dagli imprenditori e attuate da alcuni politici. Quindi, al di là del noto garantismo che ci contraddistingue, occorre sottolineare che qualcosa di penalmente rilevante in questa storia c’è. Vedremo a cosa si arriverà in termini di verità giudiziaria, purtroppo chissà quando. Ma non si può nemmeno non rilevare che le dichiarazioni di totale estraneità e innocenza di Costa, nel sofferto discorso di dimissioni fatto in diretta Tv, e salvo prova contraria, sono state politicamente ineccepibili. Tuttavia ha anche dichiarato solennemente che si ritirerà dalla politica, un messaggio di grande dignità personale per tentare anche di stoppare in qualche modo il tritacarne mediatico, o di ridurne considerevolmente i danni. Anche quelli al suo partito (che indebolito dal tramonto anticipato della sua leadership, potrebbe non bissare a marzo la maggioranza assoluta dei seggi). E, in ogni caso, anche un beau geste istituzionale per togliere da qualsiasi imbarazzo possibile il prossimo esecutivo. Il Presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, che avrebbe potuto affidare un nuovo incarico ai socialisti, ha deciso invece di dare nuovamente la parola ai portoghesi, convocando nuove elezioni per il 10 marzo 2024. Giusto un mese prima del cinquantenario della “Rivoluzione dei garofani” del 1974.

Madrid, 15 e 16 novembre. Restando nella penisola iberica, l’altro leader socialista sopravvissuto (per ora) alle intemperie politiche e alle intemperanze squadriste della destra locale, quella tanto cara a Giorgia Meloni, che a più riprese ha attaccato le sedi del PSOE, se la dovrà vedere per la formazione del suo nuovo governo, con le Cortes Generales proprio quando questo numero dell’Avanti! della domenica sarà in tipografia in distribuzione. Una impresa non facile, quella di Sánchez, visto che i numeri usciti dalle elezioni di luglio, oltre che all’accordo con Sumar, hanno imposto una chiamata a raccolta di quasi tutti gli indipendentisti di Spagna, dalle Canarie alla Galizia, dai catalani ai baschi, contrattando concessioni di maggiore autonomia locale e il voto di amnistia nella prima seduta utile, per i fatti di Catalogna del 2017. Da una parte le necessità della matematica, dall’altra la virtù di aver affrontato la questione separatista con l’occhio lungo dello statista maturo, che tende la mano anziché irrigidirsi e alzare il livello dello scontro. Già abbiamo assistito attoniti alla violenza di VOX contro i socialisti, con le sedi del PSOE prese d’assalto, mentre una cellula forse terroristica, ma non è detto, ha sparato al volto in pieno giorno, ad uno dei suoi fondatori, l’estremista di destra Alejo Vidal-Quadras, che aveva bollato come infame e una tirannide totalitaria l’accordo tra il primo ministro incaricato e Puigdemont. Insomma c’è bisogno di calmare gli animi un po’ ovunque in questo periodo. Anche in Europa. Adelante Pedro.

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