Medio Oriente. Non c’è più tempo per Gaza, si salvino i civili

di Andrea Follini

La situazione a Gaza è purtroppo già oltre: oltre il sostenibile; oltre l’immaginabile; oltre l’umano. Gli ospedali nella striscia non sono più in grado di accogliere nuovi pazienti. Troppi ne sono arrivati in queste settimane. Il distacco, all’inizio dell’offensiva israeliana dopo il tragico 7 ottobre, dalla rete elettrica che da Israele garantiva l’elettricità alla Striscia, ha costretto gli ospedali a ricorrere all’energia fornita dai generatori. Ora anche il carburante è finito, così come la speranza che, almeno gli ospedali, potessero essere dei luoghi nei quali l’umanità è ancora un valore condiviso. In questo mese gli ospedali di Al Shifa e Al Quds oltre che luoghi di cura sono diventati il rifugio di molti sfollati, assiepati al loro interno e nelle aree appena esterne. Per molti civili palestinesi, un lembo di speranza tra un cumulo di macerie. In queste ore la carenza di energia elettrica sta spegnendo le macchine che tenevano in vita uomini, donne, bambini, tutti coinvolti in questa eterna guerra. Si sta spegnendo anche l’infaticabile desiderio dei medici e del personale sanitario di compiere prodigi, abituato a lavorare con niente, e col niente a fare miracoli. Per tenere attive le macchine bastava un po’ di carburante. Quello che Netanyahu dice di aver offerto all’ospedale, si parla di trecento litri di gasolio, ma che secondo gli israeliani è stato rifiutato, su ordine di Hamas, situazione peraltro smentita dalla direzione dell’ospedale. Ecco che, ancora una volta, la propaganda diventa più importante della vita umana in questa guerra senza fine. E non cessano i bombardamenti; nei territori palestinesi come su Israele. Nella Striscia i missili israeliani colpiscono i campi profughi, portando dolore nell’orrore. Il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres accusa Israele per degli attacchi indiscriminati a Gaza, denunciando la strage di civili. Appellandosi nel contempo all’Iran perché induca Hamas a liberare gli ostaggi israeliani rapiti un mese fa. Quello del Segretario ONU è il terzo affondo verso Israele mosso nel giro di pochi giorni. Era stato preceduto dalla definizione della striscia di Gaza come “cimitero di bambini” e dall’aver sostenuto che gli attacchi di Hamas “non sono arrivati dal nulla ma dopo anni di soffocante occupazione subita dal popolo palestinese”. Non si è fatta attendere la replica del premier israeliano secondo il quale Guterres tenderebbe a proteggere l’operato di Hamas, non mancando di ribadire quali siano le priorità del suo governo in questo momento: nessun cessate il fuoco senza il preventivo rilascio di tutti gli ostaggi, la sconfitta militare di Hamas e la rioccupazione della Striscia a tempo indefinito, mettendo l’Autorità Nazionale Palestinese fuori dai giochi in quel territorio. Una dimostrazione di fermezza che gli è necessaria dopo le accuse interne che gli sono state mosse per quanto successo un mese fa, con l’estrema destra che non nasconde la propria idea che sia necessario far tornare i coloni ad occupare Gaza, dopo che l’avevano lasciata ai tempi di Sharon, nel 2005. Netanyahu dimostra tutta la sua insofferenza verso i richiami che arrivano dall’occidente: “Nessuna pressione internazionale ci fermerà”, ha chiarito il leader israeliano in una sua recente conferenza stampa, ribadendo che le operazioni militari nella striscia di Gaza andranno avanti fin quando Hamas non verrà “sradicata”. Respinto anche il piano presentato congiuntamente da Stati Uniti ed Unione europea che prevedeva un ritorno dell’ANP nell’amministrazione di Gaza; un timido tentativo dei due blocchi occidentali di dettare la linea in un contesto nel quale non solo sembrano non avere alcun interesse, ma che forse nemmeno comprendono appieno. Secondo Netanyahu l’autorità palestinese “educa al terrorismo e paga stipendi ai terroristi”, chiudendo la strada od ogni possibile coinvolgimento del vecchio leader Abu Mazen. Nemmeno l’Unione europea da sola fa una bella figura non riuscendo, ancora una volta, a sintetizzare in un’unica voce le diverse posizioni dei suoi stati membri. Le dichiarazioni di supporto all’operato di Israele e la condivisione della necessità di non mollare la stretta nei territori per evitare la riorganizzazione di Hamas, pronunciate dal Cancelliere tedesco Olaf Scholz, hanno seguito quelle di senso esattamente contrario espresse in precedenza dal Presidente francese Emmanuel Macron. Nel mezzo, la prudente presa di posizione della Commissione europea che, per voce dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha espresso la sua preoccupazione per l’aggravarsi della crisi umanitaria, condannando Hamas per aver utilizzato sia gli ospedali che la popolazione civile come scudo. Insomma in questa guerra, combattuta e mediatica, come in tutte le guerre, la peggio ce l’ha sempre la popolazione inerme; che patisce sofferenze enormi in nome di decisioni prese da altri, stretta tra due contendenti che la valutano come elemento collaterale. L’altro sconfitto è quel modello di vita, prosperità e progresso che per anni si è tentato di esportare nel mondo, in virtù della presunzione di essere titolati a reggere le sorti del pianeta. Lettura dell’occidente che sta miseramente crollando davanti ad evidenze come quella mediorientale, forse anche per la fragorosa assenza di leader capaci di inserire la propria visione in un contesto mondiale in rapida trasformazione.

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