Sotto le bombe di Gaza sono morti i valori delle democrazie occidentali

di Carlo Pecoraro

S’intitola “J’Accuse” il libro pubblicato da Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. Il volume si svolge nella forma di un’intervista del giornalista Christian Elia all’Albanese, divisa in argomenti chiave che diventano capitoli: terrorismo, disumanizzazione, occupazione, colonialismo, apartheid, democrazia, carceralità. Abbiamo incontrato la Albanese a Salerno grazie alla presentazione del suo libro organizzata da Maria Rosaria Greco, che dal 2014 cura ‘Femminile Palestinese’, la rassegna che da dieci anni contrasta la sistematica azione di memoricidio a cui è sottoposta la cultura palestinese ed il suo popolo. Partiamo proprio dal capitolo “democrazia” in cui si chiede: “È immaginabile definire democratico un sistema che, pur rispettando i criteri della rappresentatività e della divisione dei poteri, è responsabile di un’occupazione illegale e di un regime di apartheid?” E la risposta ci offre immediatamente il quadro di ciò che sta accadendo in Medio Oriente dal 7 ottobre, ma che in realtà accade da 75 anni nel silenzio di tutti. All’incontro salernitano anche il professore Giso Amendola, sociologo del diritto, che ha posto l’accento sulla crisi del diritto internazionale spiegando che il fatto che sia inefficace “non significa che non esiste, o che non deve essere esercitato”. Ed è proprio intorno alla mancata applicazione dei diritti internazionali che si gioca il grande equivoco. Israele, in nome e per conto della sua lotta al terrorismo islamico svolge “una politica di eradicazione del terrorismo. Politica che contemporaneamente sta diventando eradicazione dello stato di diritto, dei diritti umani, e di quel minimo di garanzia sulla quale l’occidente si è formato”. E per questo motivo, “Israele diventa paradigma dell’Occidente”. Albanese parla di apartheid, di colonialismo, anzi di colonialismo d’insediamento. Un tipo di colonialismo molto violento, perché ha in sé “un elemento eliminatorio della popolazione autoctona”. In pratica come è accaduto per la nascita dell’America a danno degli indiani o dell’Australia, o della Nuova Zelanda. “In Palestina accade ancora oggi e il progetto di creare lo stato di Israele è per certi versi, un progetto coloniale”. Inizialmente “la Palestina storica doveva occupare il 55 per cento di quella terra. Ora siamo arrivati al 75% di occupazione”. I monconi di terra di Palestina storica, che non divennero Israele, cioè la striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est, “sono i territori sui quali avrebbe dovuto sorgere lo stato di Palestina. Ma quella terra è occupata militarmente dal 1967 da Israele. Una aberrazione, perché una occupazione non può durare una eternità”. Una occupazione militare “è uno stato d’eccezione, di emergenza. A un certo punto deve finire e restituire la sovranità del popolo”. Ma l’autodeterminazione dei palestinesi nel proprio territorio occupato “è proibita da Israele che da 56 anni costruisce colonie dopo colonie e naturalmente questo comporta violenze. La violenza della confisca delle terre, la violenza della demolizione delle case dei palestinesi, la violenza della cacciata della gente che in quella terra ci viveva da sempre” il tutto, “per l’omogenizzazione della popolazione che deve essere a maggioranza ebraica”. Ecco perché per la relatrice delle Nazioni Unite “questo è un sistema di apartheid. Israele nei territori occupati applica un regime militare ai palestinesi che li costringe a vivere sotto legge marziale mentre per i coloni israeliani – oramai sono 800mila – invece non è così”. Ecco “l’apartheid è in questo dualismo giuridico”. Ritornando al valore delle democrazie. Per Francesca Albanese “è importante dissentire con quello che sta facendo il nostro governo”, perché “è vero che dal 7 ottobre in poi Hamas ha commesso dei crimini efferati, ma il conflitto che si è scatenato, in 95 giorni, ha già fatto 23mila vittime di cui il 70% sono donne e bambini. Circa 10mila bambini uccisi, l’1% della popolazione di Gaza è scomparsa e i bambini ammazzati a Gaza supera il numero delle vittime del genocidio di Srebrenica nel quale morirono 8000 fra ragazzi e uomini”. Per fare un esempio, “nel conflitto tra Ucraina e Russia in due anni sono morte 8mila persone. A Gaza 23mila accertate e 7mila mancano all’appello”. A questi numeri vanno aggiunti “50mila feriti e di questi, a ogni tre bambini su dieci viene amputato almeno un arto ogni giorno”. Cifre da brividi determinate da costanti bombardamenti a tappeto nella striscia di Gaza che è un pezzo di terra di 365 km quadrati dove vivono due milioni e 200 mila persone intrappolate da 16 anni”. Uomini, donne e bambini che vivono un assedio “violentissimo già giudicato così dalle Nazioni Unite e anche dalla Croce Rossa. Un crimine di guerra per il quale Israele andava già processato”. Le colonie, lo sfollamento forzato, il blocco su Gaza, “tutte queste cose erano la realtà già prima del 7 ottobre”. Oggi succede che “circa il 70% delle infrastrutture sono state distrutte. Un milione e 900mila sono gli sfollati. Sono stati bombardati ospedali, scuole, moschee, chiese, patrimonio archeologico. Se questo non è un genocidio, ditemi voi”. E ritornando ai valori delle socialdemocrazie dell’Occidente, l’Albanese si chiede e chiede: “Davanti a queste mostruosità, che è la mostruosità del nostro secolo, dove sono i valori dell’Occidente che si proclama guardiano e protettore? Sono morti assieme ai 30 mila morti di Gaza?”.

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