Solo i socialisti hanno aiutato i dissidenti dell’Est Europa

di Nautilus

La tragica fine di Alexei Navalny ha acceso in tutta Europa, e anche in Italia, una emozione che non era scontata. La fiaccolata in Campidoglio a Roma ha fatto registrare una buona partecipazione perché spontanea, senza “cammellamenti” da parte dei partiti che avevano aderito. Un’emozione, certo passeggera ma diffusa: per un italiano mediamente cinico l’idea di tenere a bada un “rompiscatole” può anche andar bene, ma arrivare ad infierire su un dissidente, è troppo, almeno per gli indifferenti o per i tiepidi. Ma Navalny è morto anche perché in questi anni le opinioni pubbliche occidentali se ne sono fregate dei dissidenti russi. Sia chiaro: gli Stati, in quanto tali, possono poco; c’è un confine sottile che separa vigilanza sui diritti civili dalla ingerenza negli affari altrui. In certi casi gli Stati possono agire dietro le linee: la Fondazione Navalny sicuramente gode di un sostegno internazionale. Ma proprio per queste ragioni, le grandi battaglie per la libertà dei popoli sono sempre state sostenute dalle opinioni pubbliche e dai partiti. In tutto il mondo, negli Stati Uniti e anche in Italia, i movimenti di piazza hanno sostenuto il popolo vietnamita che si è ritrovato impelagato in una guerra sporca voluta dall’amministrazione Usa e sono state anche quelle marce appassionate ad accelerare la fine della guerra. In quel caso la sinistra italiana era tutta dalla stessa parte, dai movimenti extraparlamentari al Pci sino al Psi, con Riccardo Lombardi in prima linea. E lo stesso schieramento sostenne gli esuli cileni dopo il golpe di Pinochet. Ma tutta l’ala comunista si è ritratta quando si è trattato di appoggiare i dissidenti nei Paesi dell’Est europeo. Da questo punto di vista i primi – e anche gli unici – che si siano mossi sono stati i socialisti, e inizialmente i socialisti milanesi, negli anni Sessanta raccolti attorno a Craxi. Gli aiuti politici e materiali sono proseguiti, anche giovandosi dei proventi delle tangenti e la prova provata di quanto fossero preziosi, venne dalle parole di due campioni della dissidenza: Andrei Sacharov e Vaclav Havel che riconobbero nel Psi un baluardo per la liberazione dall’oppressione comunista. Da allora il deserto.

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