Il morbo di Putin

di Giada Fazzalari

La libertà non è evidentemente un bene disponibile per tutti. E i diritti individuali, anziché definitivamente acquisiti, rischiano di diventare, in alcune parti del mondo, dei privilegi. A Mosca si eliminano fisicamente gli oppositori politici, si arresta chiunque porti spontaneamente dei fiori ai memorial di Alexey Navalny, improvvisati negli angoli delle strade. Ma c’è qualcosa che oggi, persino in un regime sanguinario come quello di Putin, potrebbe cambiare per sempre. Si sono levate, fortissime, tante voci di popolo nelle piazze di tutto il mondo. Perché Navalny è diventato un simbolo. Il simbolo di una voce libera che si è interrotta, ma che non si spegnerà facilmente. Perché di fronte a simboli così potenti, non bastano più i carri armati, il carcere, il filo spinato, persino una dittatura, per far tacere la sua eco. Non oggi, in questa epoca in cui i media, i social, il grido di libertà di persone armate di fiori e di foto, corrono più veloci e sono più forti di qualsiasi repressione e compressione dei diritti. Lo hanno capito le due donne di Navalny: la madre Lyudmila Navalnaya, che ha chiesto, a viso scoperto, degna sepoltura per il figlio; la moglie Yulia, che con un messaggio di straordinaria forza, in Ue, ha lanciato – e reclamato – un fortissimo segnale politico dall’Europa. Basterà tutto questo? Forse no. Perché la guerra di Putin alle democrazie occidentali è in corso da tempo ormai: ne è la dimostrazione il suo considerare il liberalismo occidentale obsoleto, la sua volontà di destabilizzarle, sperando vinca Trump in America, o che si rafforzi l’amicizia con la Cina e con Orban e sodali in Europa, che si crei un’alleanza globale che, in un’epoca di grandi cambiamenti, includa antidemocratici, filoputiniani, nazionalisti. Un morbo, quello dell’anti democrazia di cui soffre Putin, che l’Europa deve prepararsi ad estirpare. Con anticorpi fortissimi. Il caso Navalny può essere un inizio.

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