di Giada Fazzalari
Le ragioni di un conflitto vanno ricercate, sempre, nella storia, scavando nelle sue radici. Nessuno può contestare il diritto di un popolo a difendere la propria libertà e la propria sicurezza anche con le armi. Ma nel diritto internazionale, la reazione è legittima solo quando è proporzionata. Nel passato di Israele, la reazione alle aggressioni dei paesi arabi ha sempre incontrato il limite del buon senso costituito da quella soglia oltre la quale la difesa non è più legittima ma diventa aggressione gratuita. A Gaza è in corso una punizione collettiva: 30 mila morti, la fame usata come strumento di guerra: il governo di Israele, guidato da Bibi Netanyhiau, sta affamando due milioni e mezzo di palestinesi di Gaza, ostacolando la fornitura di servizi di base e l’ingresso di carburante, cibo e aiuti salva vita. Allora, è lecito porsi una domanda: il mantra di Israele unico stato democratico del medio Oriente, è ancora valido? Se oggi la reazione di Israele è così inaccettabilmente sproporzionata rispetto al legittimo esercizio del diritto di difendersi è perché, probabilmente, Israele stessa sta perdendo il suo carattere di stato democratico. Lo Stato di Israele è stato fondato da ebrei europei che avevano ben radicato il concetto di democrazia e il concetto di socialismo. Negli ultimi vent’anni secondo le organizzazioni sia internazionali che israeliane, la democrazia in Israele sta subendo una graduale e apparentemente irreversibile regressione. Perché è chiaro che non basta, per definire democratico un Paese, che in esso i cittadini siano periodicamente chiamati a votare, perché la democrazia non è solo l’esercizio del voto ma è fatta della garanzia di una serie di diritti che, secondo gli stessi israeliani, vengono giorno per giorno sempre più compressi da chi guida il Paese. Ecco perché oggi una persona come Netanyahu può permettersi di agire da Primo Ministro con la disinvoltura tipica dei capi delle democrature, sia negli affari interni che soprattutto nella conduzione di una guerra che rischia di assumere i caratteri del genocidio. Il ricatto morale dell’appoggio incondizionato al governo di un Paese in guerra non può costringere nessuno ad avallare atti criminali come quelli che si commettono a Gaza. Anche perché la crisi umanitaria, ormai, ha raggiunto livelli impensabili e lo scenario è ciò che c’è di più simile all’inferno. Non Israele, ne è responsabile. Ma il suo governo e chi lo guida: Bibi Netanyhau. Se questo è un uomo.