La Rai ostaggio della politica. No, non è la BBC

di Lorenzo Cinquepalmi

Uno dei presidi fondamentali della democrazia, e quindi della libertà, è costituito dall’esistenza di un’informazione plurale, indipendente e coraggiosa. A maggior ragione il servizio pubblico radiotelevisivo, in un Paese di democrazia matura, dovrebbe garantire, da un lato l’oggettività dell’accesso alla conoscenza dei fatti, dall’altro la possibilità di dar voce a tutte le opinioni sull’attualità politica e sociale. A costo di sembrare didascalici, sull’esempio della BBC inglese. Il servizio pubblico italiano, la Rai, negli ultimi trent’anni non è certo stata uno dei migliori esempi di pluralismo e indipendenza. Alla lottizzazione della prima repubblica, che, con tutti i suoi difetti, un certo pluralismo lo offriva, si è sostituita l’occupazione delle reti e delle produzioni da parte della maggioranza di turno, con il corollario di episodi assai poco commendevoli: dall’epurazione di Enzo Biagi agli abbandoni di Floris e Giannini, per citare solo alcuni tra i più memorabili. In sostanza, superato il sistema stabile dei partiti di massa, con le sue rigide ripartizioni degli spazi in Rai, il servizio pubblico, nell’informazione così come nell’intrattenimento, è sempre stato condizionato dalle scorrerie dei leader e delle maggioranze di turno, complice la forte personalizzazione del potere determinata dal sistema maggioritario. Quindi, lo sciopero Usigrai dei giorni scorsi, e il ping pong sui dati di adesione, di riuscita o di fallimento della mobilitazione, potrebbero sembrare privi di alcun carattere di novità rispetto agli scioperi dei giornalisti, per esempio contro l’editto bulgaro di Berlusconi. Eppure, un qualche elemento di diversità pare esserci, e va cercato attraverso una lettura del fatto più organica alla situazione complessiva in cui si iscrive. Non si tratta, in altre parole, solo di un problema di propaganda di una leadership piuttosto che di un’altra, come in passato. Nell’Italia di oggi, il ministero della polizia, e con esso la rete dei prefetti, dei questori, dei reparti mobili, è gestito con un’impostazione ideologica come solo nel ventennio si era vista: dall’identificazione dei loggionisti della Scala dopo il grido “viva l’Italia antifascista”, allo spietato manganellamento dei liceali di Pisa, il messaggio è chiaro; ecco perchè la pressione del governo, e per esso del partito egemone del governo, Fratelli d’Italia, e ancora più direttamente, della squadra intima della Presidente del Consiglio Meloni, assume un inedito odore di MinCulPop. La Rai è una dei più grandi broadcaster dell’Occidente: una miniera di competenze, professionalità, sapere, cultura, storia. Ha tutto ciò che serve per essere davvero autorevole come la Bbc; eppure, evidentemente, non lo è. Troppe cose le impediscono di esserlo ma la più importante di tutte è la mancanza di un valore proprio di riferimento, la coscienza diffusa e radicata dentro l’azienda del ruolo quasi sacrale che sarebbe chiamata a svolgere, se solo tutti coloro che vi lavorano accettassero di porre quel ruolo al primo posto della loro personale scala di valori: prima della carriera, prima del guadagno, prima della benevolenza del potente, prima perfino del semplice quieto vivere. Perchè è chiaro che accettare incondizionatamente di far parte della coscienza critica di un’intera nazione, senza cedere alle tentazioni che un simile ruolo implica, è molto impegnativo e difficile. Le rappresentanze sindacali, sia dei giornalisti che degli altri dipendenti (ma soprattutto dei giornalisti, bisogna riconoscerlo) più che difendere il principio dell’indipendenza dell’informazione, difendono ciascuna il fortino delle proprie appartenenze, impegnate a non subire oggi quello che hanno fatto subire ieri. E la dirigenza, il vero snodo della strumentalizzazione dell’azienda, è impegnata, ieri come oggi, a interpretare il favore della parte politica che è l’azionista del momento, ma non certo a difendere la terzietà delle testate e dei singoli giornalisti. Così, si arriva al teatrino di questi giorni, in cui coloro che nell’azienda rappresentano, o mostrano di rappresentare, il nascente melonismo, gridano alla rinascita in Rai del ruolo del giornalismo garante delle libertà civili, solo perchè stanno riuscendo a sostituire al precedente un nuovo sistema di informazione ossequiente. Simultaneamente, coloro che hanno rappresentato il mondo di ieri, si affrettano a intercettare le più promettenti occasioni esterne anzichè restare a difendere per davvero il pluralismo dell’informazione e, sia chiaro, anche dell’intrattenimento, strumento di generazione del consenso ancor più potente. Perchè è del tutto evidente che è la Rai ad entrare in tutte le case, non La8, giusto per fare un nome a caso, e se si crede davvero nel ruolo del servizio pubblico si rimane a svolgerlo, anche quando il vento non è più quello che ti piaceva. Questo, purtroppo, non è accaduto ieri, non accade oggi, e non accadrà domani. Per questo, anche per questo, e salvo miracoli, il nostro servizio pubblico “non è la Bbc, è la Rai, la Rai-Tv”

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