Quella ridicola pretesa di incarnare l’anno zero

di Nautilus

Appena era diventata Presidente del Consiglio e partecipava ai primi vertici dell’Ue. Giorgia Meloni parlava (convinta) di “ritorno dell’Italia” sullo scenario europeo: faceva sorridere ma si preferiva sorvolare. Era ovvio immaginarsi che una pugnace leader donna come lei, passata dai vertici con Lollobrigida, Fazzolari e con sua sorella, ad incontri internazionali con i principali capi di governo del mondo, potesse essere vittima di un effetto ottico, che le faceva scambiare la normale amministrazione come eventi memorabili. Nel secondo dopoguerra l’Italia ha pesato eccome sullo scacchiere europeo, con personalità dello spessore di Alcide De Gasperi. Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Monti, Giorgio Napolitano, Mario Draghi, di volta in volta lasciando un solco profondo in alcuni momenti decisivi nella storia del Vecchio Continente. Da diversi mesi Meloni si auto-elogia ad ogni occasione, non ultimo il caso del G7. Tralasciamo l’ambientazione di cartapesta, oggetto di una argomentata critica da parte del New York Times, ma ce ne vuole per far passare come un successo dell’Italia un vertice ordinario. Certo, il G7 ha preso una decisione importante sull’uso dei profitti degli asset russi congelati come garanzia per emettere un prestito di 50 miliardi alla Ucraina, ma neanche la più accesa propaganda patriottica potrebbe far credere che un dossier di quelle dimensioni sia passato grazie a Giorgia Meloni. Per ora il trionfalismo della presidente del Consiglio può suscitare sentimenti alterni e tutti molto accesi. Da una parte l’orgoglio nazionalista in chi le crede e in chi non conosce la storia minima dei rapporti internazionali. Dall’altra può accrescere sentimenti opposti in chi non le crede. Ma c’è un equivoco che andrebbe dissipato subito: questa idea che tutto cominci quando ci sei tu al comando, è un paradosso nel quale possono incorrere due diverse tipologie di leader. Gli insicuri che si rassicurano, colmandosi di elogi. Ovvero, i leader autoritari. Ma attenzione: la sindrome dell’anno zero può essere un oppio sul breve periodo. Sul lungo, alla prova dei fatti, diventa un boomerang.

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