di Stefano Amoroso
Neanche il tempo di godersi la vittoria elettorale, e la Meloni deve nuovamente constatare la distanza abissale che separa le sue ambizioni internazionali dalla triste realtà. Al G7 di Fasano, nell’artificiale Borgo Egnazia (una sorta di Disneyworld pugliese), dopo aver impedito d’inserire la parola “aborto” nella dichiarazione finale a causa della presenza del Papa al vertice (giustificazione risibile, ed ampiamente contestata dagli altri leader), il Governo Meloni ha portato a casa solo le briciole: un breve passaggio in cui viene citato il Piano Mattei per l’Africa, la preoccupazione per il futuro dell’Intelligenza Artificiale, ed il sostegno all’Ucraina; più di facciata che di sostanza, come si è visto pochi giorni dopo alla conferenza di Lucerna in Svizzera. Infatti, in quell’occasione, i leader del Sud Globale, dall’India al Brasile, dal Messico all’Indonesia, dall’Arabia Saudita al Sudafrica, non hanno accettato la dichiarazione finale a sostegno dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Infine, a Bruxelles, nel Consiglio Europeo informale del 17 giugno, il Governo italiano non è più riuscito a mascherare il suo isolamento internazionale e la conseguente irrilevanza. Lapidario il commento del premier polacco Donald Tusk, fresco di vittoria ed affermazione personale alle recenti elezioni europee nel suo Paese: “possiamo fare a meno di lei”. Giorgia non può neanche porsi l’amletico dilemma di Nanni Moretti in “Ecce Bombo”: mi si nota di più se vado o se non vado? Ti si nota, ma finisci isolata e nessuno vuole ballare con te. Certamente, diversi leader di governo occidentali sono azzoppati da critiche e dissensi interni, oltre ad essere incalzati dalle opposizioni di destra: vale per Macron, ma anche per Scholz e Sanchez. Oltre oceano, neanche Biden se la passa bene. Tuttavia, anzi forse proprio per questo, non possono mostrarsi deboli od amichevoli nei confronti del Governo più a destra di tutti i grandi Paesi occidentali. E, per di più, guidato da un partito postfascista i cui esponenti, giovani od anziani che siano, in privato mostrano tutte quelle pulsioni fasciste e tendenze autoritarie che in pubblico si sforzano di reprimere. Ci sono certamente dei momenti in cui i voti italiani servono. Per esempio, per la nomina del prossimo Presidente della Commissione europea. O per decidere gli aiuti all’Ucraina in guerra. Oppure, ancora, per decidere azioni incisive per la transizione ecologica, o per regolare il fenomeno delle migrazioni. Tuttavia, l’atteggiamento e la postura del Governo Meloni rendono assai difficile, per gli altri leader, mostrare in pubblico una grande intesa con la nostra “underdog” della Garbatella. Si preferisce, così, tenere le delegazioni italiane, ed i relativi voti, di riserva, quasi nascosti, da usare solo quando ce n’è bisogno. Un po’ come facevano i rampolli delle famiglie agiate con le servette, con cui andavano a letto e magari le mettevano anche incinte, ma non potevano assolutamente sposarle. La Meloni forse sta capendo solo ora che un partito come il suo, che è tornato indietro rispetto alla svolta di Fiuggi compiuta da Gianfranco Fini, è una mina vagante in un mondo occidentale che è alle prese con una crisi globale, con un fronte compatto dei Paesi in via di sviluppo che lo incalza su diversi temi, e con un’alleanza delle autocrazie, guidata da Russia, Cina ed Iran, che lo sfida apertamente. All’Occidente restano poche carte da giocare. Una di queste, forse la più potente in assoluto, è la difesa della democrazia e dei valori liberali a cui questa s’ispira. Valori che sono tuttavia incompatibili sia con la storia, sia con la pratica quotidiana, di partiti come FdI. E, se anche la destra euroscettica dovesse vincere in Occidente, a cominciare dalla Francia dove si voterà tra pochi giorni, il rischio per la Meloni è che la guida del movimento euroscettico venga preso dalla Le Pen. Infatti, il suo gruppo all’Europarlamento (di cui fa parte anche la Lega, concorrente interno di FdI nella maggioranza italiana) è quello che è cresciuto di più alle scorse elezioni. Ed alla Le Pen, più che alla Meloni, guardano i capi di Governo di destra che sono espressione di formazioni non ancora affiliate a nessun gruppo: dalla Bulgaria a Cipro, dalla Slovacchia alla Lituania, la Francia del duo Le Pen – Bardella potrebbe risultare più attrattiva dell’Italia della danzante Meloni. Che, in attesa di sviluppi, per ora balla da sola.