Quella notte con Pajetta e l’umanesimo di un socialista

di Fabio Martini

Si è meritato tantissimi ricordi. Spontanei. Precisi. Accorati. Tutti senza un filo di retorica. A Ugo Intini sarebbero piaciuti, lui che sapeva andare al cuore delle persone senza ricorrere a scorciatoie emotive. Tante testimonianze che si potrebbero sinterizzare così: Ugo Intini era un uomo mite e saldo. Virtù decisamente anacronistiche in una stagione di convinzioni labili e di demonizzazione degli avversari. Saldo perché, da socialista e da uomo di sinistra, affrontò tutte le battaglie politiche con un’invidiabile nettezza concettuale. Anche quando mise in discussione, e non era facile, totem e tabù del comunismo italiano. Ma era anche un uomo mite, che sferzava gli avversari politici, senza far venire meno il rispetto. Come raccontò nel suo libro “Testimoni di un secolo“. Nel capitolo dedicato a Giancarlo Pajetta, Intini raccontò che una sera degli anni Ottanta, durante una festa dell’Unità sul Tevere, aveva avuto un acceso dibattito sul comunismo proprio col vecchio dirigente del Pci e poi “intorno ad una pizza e a troppo vino bianco, facemmo notte; al momento dei ricordi gli occhi di Pajetta diventarono lucidi e mentre ce ne andavamo, con improvvisa dolcezza, mi prese sottobraccio e mi disse: “Tu non puoi capire. Quando ci sentivamo soli e randagi, nella Roma fascista, noi giovani andavamo davanti all’ambasciata sovietica, guardavamo sventolare la bandiera rossa con la falce e il martello e gli occhi si riempivano di lacrime”. Terminato il racconto di quell’incontro, Intini concludeva il capitolo su Pajetta con un passaggio struggente: «Prima di scrivere queste righe ho cercato e ritrovato tra gli scaffali di casa il suo libro più famoso, “Il ragazzo rosso”. Non sapevo che c’era la sua dedica: “Al compagno Intini, anche ricordando la serata sul Tevere>>. È come se Intini avesse scritto: noi socialisti abbiamo combattuto contro la degenerazione stalinista ma durante la notte buia del fascismo voi comunisti avevate una luce che vi teneva vivi, la rivoluzione bolscevica. Per questo reciproco rispetto nel segno di un umanesimo laico, Giancarlo Pajetta e Ugo Intini fino all’ultimo, continuarono a chiamarsi compagni.

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