Intini, protagonista e interprete di un’epoca

di Lorenzo Cinquepalmi e Alessandro Silvestri

Nella vita di Ugo Intini c’erano dei pilastri assoluti: il primo era, fuor di dubbio, la fede nel socialismo democratico e riformista come motore del progresso dei popoli. Un secondo è sempre stato il valore della staffetta tra le generazioni, quel prezioso passaggio del testimone tra esperienze altrimenti destinate all’oblio e alla dannazione di ogni memoria perduta. Un terzo, la passione per il giornalismo, indissolubilmente intrecciata a quella politica, perché, come soleva ricordare, giornalismo e politica un tempo erano quasi la stessa cosa. Lo conferma il glorioso pantheon socialista: da Costa, Treves e Turati, a Nenni, Saragat e Pertini e allo stesso Craxi; pressoché tutti i dirigenti socialisti sono stati anche appassionati giornalisti. Negli anni universitari inizia a frequentare, facendo anche il correttore di bozze, la sede milanese dell’Avanti! del quale un giorno diverrà direttore. Una realtà diversa da quella attuale: il giornale col punto esclamativo è stato a lungo il quotidiano italiano più diffuso, il primo ad avere tre tipografie in contemporanea, a Milano, Roma e Napoli. Nel 1976 Intini va alla direzione de “Il Lavoro” di Genova, già diretto da Sandro Pertini per quasi un ventennio. È l’anno del Midas: un altro milanese quarantenne poco conosciuto, Bettino Craxi, era stato eletto segretario, dopo la sconfitta elettorale dell’asse politico col PCI. Il legame con Craxi si rafforza allora, ed è con Ugo che Bettino instaura un confronto privilegiato, fatto di una sintonia di visione politica, e della stessa profonda umanità dissimulata; entrambi bruschi perché timidi, ma capaci di tenerezze insospettabili, nascoste dietro la maschera, burbera per Bettino, algida per Ugo. Quando rapiscono Moro, Intini condivide e promuove un approccio diverso da quello della fermezza, segnando una cesura netta con le segreterie democristiana e comunista. Con l’assassinio di Moro, la guerra tra Stato e antistato terrorista (con molti interessati appoggi internazionali) aveva raggiunto l’apice. Il contesto politico e sociale visse uno sbandamento di proporzioni mai viste dal dopoguerra. In quel clima di fortissime tensioni arriva l’elezione del successore di Leone alla presidenza della Repubblica. La DC era dilaniata dal correntismo, indebolita dalle dimissioni di Leone, tramortita dalla morte di Moro. Fu chiesto ai socialisti di presentare una rosa di candidati, e Bettino gettò sul tavolo tre carichi da undici. Giuliano Vassalli, Antonio Giolitti e Sandro Pertini. Sappiamo come andò: i comunisti, sperando di fare uno sgambetto a Craxi, puntarono sul più anziano e distante ideologicamente dal “nuovo corso”. E Pertini, con l’82,3% dei voti, risultò eletto con la maggioranza più ampia della storia repubblicana. Il 13 luglio di quell’anno, Intini lascia la direzione del quotidiano socialista ligure, e diventa direttore dell’Avanti!, prima in tandem con Craxi e poi, con il trasloco a Palazzo Chigi del segretario, come direttore fino all’ottobre del 1987. Erano gli anni dell’ascesa inarrestabile dell’Italia nel panorama mondiale, grazie alle nostre imprese pubbliche e private; i rapporti dell’imprenditoria e dei sindacati con la politica erano molto forti. Craxi dal governo e Intini dalle colonne dell’Avanti! contribuirono in maniera determinante ai successi internazionali del Paese. Il collasso sovietico del 1989 chiuse, bruscamente e in anticipo, il ‘900. Nel 1992, difficile credere a una combinazione casuale, un combinato disposto alquanto eterogeneo (magistratura, stampa, servizi, massoneria e persino la mafia) spazzò via il sistema dei partiti che aveva fino ad allora garantito principi costituzionali, libertà e giustizia sociale e una costante crescita economica. In quel periodo Intini pubblica due editoriali lucidi e profetici: “Golpismo strisciante” e “Un ’68 alla rovescia”: nel primo teorizza l’eterodirezione di “Tangentopoli” e nel secondo svolge un’analisi delle differenze sostanziali tra un ’68 solidaristico e iperpolitico, e un ’92 di segno opposto, individualista e antipolitico, cioè la genesi del trentennio successivo. Trent’anni in cui l’Italia ha perso le posizioni conquistate nella stagione della prima repubblica, col sacrificio, sull’altare dei nuovi assetti geostrategici, di una grossa fetta della sua ricchezza effettiva, materiale e morale. Come aveva profetizzato Intini, al posto della democrazia così come l’avevamo conosciuta fino ad allora, si affermavano fenomeni nuovi e divisivi come il localismo, il lobbismo, il corporativismo, il populismo. Con l’aggiunta recente del revanchismo di destra. Eppure, anche in questa zoppicante e sciatta seconda repubblica, Intini non depone la bandiera del suo socialismo umanitario, libertario, gradualista. E si impegna per tenerne viva la storia e l’impegno politico. Dopo lo sbandamento dello sgretolamento del vecchio PSI, e dopo il tentativo di metterne in campo un successore, confluisce, con tanti altri, in quello che è ancora oggi il partito dei socialisti italiani. Rientra in Parlamento, assume incarichi di governo, con Prodi e con D’Alema, sempre agli affari esteri: la vecchia passione internazionale dei socialisti. È tra i principali fautori della Rosa nel Pugno, coi compagni radicali, ai quali lo lega la passione per la difesa dei diritti civili. Quando lascia la politica attiva, nel 2008, rimane uno dei più solidi e illuminanti riferimenti per tutti nel Partito Socialista: un vero padre nobile, in questo simile, come forse nessun altro, al suo maestro Nenni, da cui sia Ugo che Bettino impararono un socialismo sorridente, non dogmatico, fraterno. E fino all’ultimo, malato e consapevole dell’imminenza della fine, Ugo ha continuato a essere, per tutti i compagni, un riferimento presente: un cenno, una telefonata, un messaggio, un’approvazione, una metaforica strizzata d’occhio, hanno rappresentato per tutti la forza da cui attingere per continuare ad andare avanti. Una forza che non viene a mancare con la sua morte terrena, perché l’esempio di Ugo è stato così potente da sopravvivergli; resterà, per noi socialisti italiani del ventunesimo secolo, la guida, il termine di paragone, il sorriso gentile con cui diffondere il nostro Ideale.

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