Politica-magistratura: la guerra del trent’anni

di Lorenzo Cinquepalmi

Le dichiarazioni del ministro Crosetto sulla valenza politica delle iniziative giudiziarie e sulle prese di posizione pubbliche di esponenti dell’Associazione Nazionale Magistrati, riaccendono la discussione del rapporto difficile tra politica e magistratura, mai normalizzato dal 1993 in poi. Crosetto, come molti altri politici prima di lui, ha denunciato la politicizzazione della magistratura e l’azione della stessa intesa a penalizzare schieramenti politici rispetto ad altri. La questione, in realtà, se esaminata in modo organico e non pregiudiziale, non può essere definita in termini così semplicistici. Occorre, prima di tutto, descrivere alcuni elementi di fatto. L’interazione palese tra magistratura e società si esprime attraverso l’articolazione in componenti dell’ANM, le cosiddette correnti. È senza dubbio vero che le correnti, da sempre, sono connotate dai loro diversi orientamenti politici: genericamente conservatore, progressista, centrista, ecc… Ma è un dato che risulti sempre più difficile mettere in relazione quelle correnti con gli schieramenti e le forze politiche esistenti oggi. Così come, rispetto al passato, il rapporto organico tra sindacati e partiti di riferimento si è affievolito fino quasi a scomparire, anche la relazione tra correnti della magistratura organizzata e partiti politici non esiste praticamente più. Del resto, è sotto gli occhi di tutti che l’ANM ha attaccato e attacca, sugli stessi temi, tutti i governi in carica, indifferentemente dall’essere essi espressione di forze di destra o di sinistra. Questo dato oggettivo consente alla magistratura organizzata di respingere le accuse di politicizzazione e sostenere che la loro azione è orientata solo alla difesa dell’interesse generale, dei principi generali fissati nella Costituzione. È credibile la lettura proposta dall’ANM? Francamente no: sostenere che la magistratura organizzata non faccia politica e intervenga solo a difesa della Costituzione non é nè credibile nè vero. Ma allo stesso modo non è credibile la lettura proposta da Crosetto, per il quale nella magistratura organizzata vi sarebbe una componente organica all’opposizione al Governo, all’opera per screditarlo. La lamentela del Ministro della difesa è analoga a quella espressa in passato anche da governi precedenti. La realtà è che non esiste più da molto tempo una relazione speciale tra correnti dell’ANM e partiti, mentre è impensabile che l’opposizione possa muovere o istigare una o più correnti di magistrati contro il Governo. Tra l’altro, oggi le correnti progressiste, astrattamente riferibili alle attuali opposizioni parlamentari, sono chiaramente in minoranza nella magistratura associata, e, quindi, Crosetto dovrebbe riconoscere che, se pensa che il Governo abbia da temerne le posizioni, quelle posizioni non potrebbero affermarsi se non fossero condivise dall’ampia maggioranza di magistrati che esprimono un sentimento politico lontano da quello della sinistra. La lettura da dare alla situazione, allora, è un’altra: i magistrati fanno politica, eccome. Seguono la politica, e cercano di condizionarla, ormai da molto tempo estranei alle strategie politiche dei partiti, semplicemente giocando in proprio, e non con il solo, e nobile, intento di tutelare i principi costituzionali di indipendenza della magistratura, ma con il concreto obbiettivo di garantire gli spazi di potere concreto che essi gestiscono e sfruttano. Lo scenario di fondo su cui si muovono tutti gli attori di questo teatro è quello del populismo, inteso come atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto alla politica, connotato da livelli di coscienza, conoscenza e competenza molto, molto più bassi rispetto a quelli di una o due generazioni fa. Questa condizione è determinata dalla progressiva asfissia sociale ed economica dei partiti politici, che gli altri poteri attivi nella società, magistratura compresa, hanno sistematicamente determinato. Ricordiamo tutti gli strali di Marco Pannella contro la partitocrazia: essi descrivevano un contesto per molti aspetti negativo, ma l’attuale marginalizzazione dei partiti politici, ottenuta togliendo loro le risorse necessarie per avvicinare i cittadini alla politica, rende i consensi effimeri, mutevoli ed emozionali; sono caratteristiche perfette per chi si muove nella società per difendere interessi di parte e non interessi generali. La leva del consenso emozionale è, infatti, un eccellente strumento di interdizione, tanto quanto è del tutto inadeguata a sostenere azioni costruttive di riforma. Proprio perchè è facile suscitare emozioni contro qualcosa, ed è impossibile sostenere un progetto di riforma con consensi solo emotivi, il risultato, in tema di giustizia come in ogni altro ambito, è l’immobilismo. E così, l’equilibrio dello status quo, a dispetto delle apparenze, da un lato favorisce Crosetto e la maggioranza a cui appartiene, dall’altro accontenta tutti gli altri poteri che, comunque, dagli equilibri attuali ricavano buone soddisfazioni; per quanto riguarda i magistrati, il sistema vigente di determinazione delle carriere, che ha creato una casta all’interno del corpo della magistratura, viene ovviamente difeso dalla stessa casta ricorrendo agli stessi meccanismi di sollecitazione emotiva propri del populismo imperante. Tutti contenti, allora? Beh, no, non tutti: l’Italia non cresce da trent’anni. Il cortocircuito dell’interdizione facile e della costruzione difficile blocca tutto e tutti, garantendo un crescente benessere a pochi e l’inesorabile impoverimento di tutti gli altri. Ecco perchè la lettura della tensione tra magistratura organizzata e politica offerta da Crosetto non convince: essa è, in fondo, l’ennesimo passaggio di uno stesso copione, in cui attori e comparse prendono il loro pezzetto di applauso, e non cambia assolutamente niente.

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