di Giada Fazzalari
I dati del rapporto 2023 di Caritas Italiana su povertà ed esclusione sociale “Tutto da perdere”, pubblicati a novembre, rafforzano una condizione di preoccupazione sulla tenuta sociale del Paese: i poveri assoluti sono saliti in un anno da 5 milioni 316mila a 5 milioni 673mila (+ 357mila unità). L’incidenza di questi sul totale della popolazione è passata dal 9,1% al 9,7%. Se si considerano i nuclei familiari, si contano 2 milioni 187mila famiglie in povertà assoluta, a fronte dei 2 milioni 22mila famiglie del 2021 (+165mila nuclei), concentrati soprattutto nel Mezzogiorno. Con Walter Nanni, responsabile dell’Ufficio Studi e Ricerche di Caritas Italiana, attraverso questa intervista rilasciata all’Avanti! della domenica, abbiamo approfondito i focus principali di questo rapporto, cercando anche di leggere, oltre ai dati ma attraverso questi, i contorni di una società in trasformazione.
L’ultimo rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale mette in luce un Paese sempre più povero e diseguale dove la povertà assoluta aumenta, diventando un fenomeno strutturale. Ma non è una povertà soltanto economica…
<<L’ultimo Rapporto si sofferma su vari aspetti della povertà, che ha molte dimensioni. Non si tratta soltanto di una povertà economica, che possiamo ad esempio leggere dai dati Istat e anche dai dati di Caritas italiana, ma che riguarda anche aspetti specifici di marginalità ed esclusione sociale. Penso ad esempio alla condizione dei minori in Italia, ai fenomeni di povertà energetica, e soprattutto alla condizione dei working poor, ossia dei lavoratori poveri: quelle situazioni di povertà, personali e familiari, in cui non manca il lavoro, ma il reddito non è sufficiente per condurre una vita dignitosa>>.
E come è cambiata la povertà in Italia, in senso complessivo, negli ultimi anni?
<<Abbiamo avuto un aumento della povertà rispetto all’anno precedente, che riguarda sia le famiglie, che sono quasi 2 milioni e duecentomila, che le persone povere, che sono quasi 6 milioni, il 10% della popolazione italiana. Temevamo un aumento anche più forte, a causa dell’aumento dell’inflazione, del caro bollette, delle spese energetiche in aumento, ma evidentemente le misure che sono state introdotte negli ultimi anni, come il reddito di cittadinanza e soprattutto l’assegno unico universale, hanno inciso in modo deciso, per cui possiamo stimare che questo tipo di aiuti abbiano avuto l’effetto di ridurre l’aumento della povertà assoluta. Questo non significa però che non ci siano aspetti inquietanti, tra cui soprattutto la povertà dei minori: 1 milione 270 mila minorenni vivono in condizioni di povertà assoluta; l’incidenza più alta è al Sud, il 16% dei minori è povero.
La povertà quindi è ereditaria: chi nasce povero difficilmente riesce a riscattarsi da una situazione di indigenza. Come se esistesse un ascensore sociale bloccato. Perché a suo avviso?
<<L’elemento forse principale che provoca questa condizione è il fatto che il lavoro non è più, come accadeva una volta, una garanzia di uscita dallo stato di povertà e di indigenza. Ce ne siamo accorti per il fatto che quasi un utente su quattro di Caritas in Italia lavora e dichiara di essere occupato. Proprio per questo è scattato l’interesse di capire come sia possibile che la presenza del lavoro non sia più protettiva rispetto a una condizione di povertà. Abbiamo quindi osservato che esistono povertà croniche, cioè che esistono da 3-5 anni, che aumentano sempre di più. Sono invece in calo i nuovi poveri (- 7%). La povertà cronica aumenta perché il reddito è insufficiente: ci sono part-time involontari, sussistono situazioni di lavoro nero, sommerso o grigio>>.
A suo avviso c’è stato un aumento dell’attenzione dei cittadini verso le persone più in difficoltà o insieme alla povertà sta aumentando anche l’indifferenza? C’è insomma qualche forma di solidarietà nella società?
<<Secondo il nostro osservatorio e la nostra capacità di leggere questo tipo di fenomeni, abbiamo dedotto che era in aumento un certo senso di solidarietà e anche di attenzione alla povertà durante la pandemia, quando ci siamo sentiti tutti un po’ a rischio di povertà. Questo rapporto lo definirei di post-guerra, post catastrofe: finita l’emergenza sanitaria, si è tornati a una visione ancora precedente, una sorta di aporofobia, ossia la paura e l’inquietudine verso le persone che si trovano in una situazione di povertà. Devo dire però che abbiamo colto anche segnali di speranza>>.
Quali sono?
<<Per esempio se da una parte l’Istat ha stimato che in cinque anni c’è stata una diminuzione di oltre 600mila persone che fanno volontariato in Italia, nel caso di Caritas invece abbiamo osservato come esistano 90 mila volontari, che è un numero molto simile a quello registrato prima della pandemia. Vuol dire che in certi settori ci sono ancora molte persone che si spendono a favore dei poveri>>.
Oggi vi sono misure che sono state messe in campo per contrastare questo fenomeno drammatico?
<<Sicuramente l’assegno universale unico e’ una misura molto efficace. Poi sono stati introdotti dei bonus legati all’energia che hanno ridotto le spese delle famiglie con un Isee molto basso e quindi attraverso le amministrazioni comunali le famiglie in difficoltà hanno avuto degli sconti che hanno tamponato delle situazioni di disagio. Il reddito di cittadinanza dal 1 gennaio 2024 non ci sarà più e sarà sostituito dall’assegno di inclusione, che è una nuova misura un po’ diversa dalla precedente. Ci riserviamo il giudizio non appena riusciremo a coglierne gli effetti: è molto difficile stimare la sua efficacia e il suo impatto in questo momento, essendo cambiati sia i requisiti di accesso che quelli anagrafici e di reddito>>.
Lei prima diceva che tra le cause di blocco delle ascensore sociale c’è anche il fatto che avere un lavoro non dà la garanzia di non finire in povertà. Il salario minimo potrebbe essere una misura di contrasto al fenomeno del lavoro povero che riguarda 3 milioni e mezzo di persone?
<<Sì noi riteniamo che il salario minimo, insieme però ad altre misure, può essere efficace. Ma purtroppo non è soltanto un problema di paga oraria-base>>.
Quali altre misure?
<<Sicuramente una reversione dei contratti nazionali di lavoro: in questo momento il 57% dei contratti nazionali di lavoro è scaduto, cioè ci sono 7 milioni e 732 mila lavoratori dipendenti che lavorano con contratti scaduti, quindi senza indennità di contingenza, penalizzati quindi dall’aumento dell’inflazione. La priorità sarebbe mettere mano alla presenza di oltre mille contratti registrati al CNEL e riuscire a capire come regolarizzarli dal punto di vista sia della paga base ma anche per quello che riguarda tutti i vari benefit collegati al salario. Un altro elemento importante potrebbe essere l’in-work benefit, cioè pensare a delle misure di sostegno economico per le persone che lavorano, in modo da incentivare l’utilizzo dei contratti di lavoro regolare. E infine è necessaria una nuova forma di vigilanza: un utente Caritas su quattro lavora, ma andando a scavare spesso si scopre che si tratta di contratti che non corrispondono alle ore lavorate o addirittura in alcuni casi il lavoratore restituisce cash parte dello stipendio regolarmente ricevuto con il contratto. Una maggiore attività ispettiva di vigilanza servirebbe almeno su posizioni lavorative che hanno maggiori possibilità di impiego illegale, come il commercio o l’edilizia>>.
Ha l’impressione che la politica si occupi di questo fenomeno? Il messaggio che è uscito da Caritas è stato: “questi numeri sono una sconfitta per la società”. Ma è anche una sconfitta della politica?
<<A prima vista sembrerebbe di no. Se pensiamo a un confronto con trent’anni fa possiamo constatare che oggi c’è una maggiore attenzione ai temi della povertà: esistono dati molto più disponibili, vengono continuamente adottate nuove misure, basti pensare che negli ultimi cinque anni lo Stato italiano ne ha introdotto tre. Il problema è che queste misure ogni volta finivano e cambiavano con altri provvedimenti nuovi: prima il Rei, poi il reddito di cittadinanza e adesso il reddito di inclusione. Non vorrei che questo “eccesso di interesse” stia ad indicare invece una certa confusione. Per molti anni è esistita una Commissione Nazionale di indagine sulla povertà che era stata istituita presso la Presidenza del Consiglio e poi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Non esiste più e istituirla nuovamente potrebbe essere un elemento che, al di là delle dichiarazioni fatte con buone intenzioni, potrebbe dare un segnale positivo anche al fine di leggere e raccogliere i dati in modo scientifico>>.
Chi sono gli ultimi della società?
<<Gli ultimi sono coloro che questo momento non hanno nessuna possibilità di avere i diritti esigibili: persone senza dimora – oltre cinquanta mila – gli immigrati privi di documentazione, le persone vittime di violenza, cioè le persone più deboli e più fragili che vivono all’interno di un sistema dove esiste una situazione di bisogno così elevata e così grave da rendere la situazione invivibile. Noi affermiamo sempre che “non esiste più la povertà mai i poveri”: è difficile capire il fenomeno generale, ma esistono singole situazioni, ognuna molto complessa, che possono diventare una vera e propria situazione di esclusione sociale>>.