di Fabio Martini
In occasione del sessantesimo anniversario della nascita del primo governo di centro-sinistra “organico”, che ottenne la fiducia il 5 dicembre 1963, per gentile concessione di Arcadia Edizioni e della Fondazione Nenni pubblichiamo stralci dell’Introduzione di Fabio Martini al libro “Nenni-Moro. Il carteggio ritrovato (1958-1978), che uscirà nel mese di marzo.
La grande aspettativa di riforme di struttura, spesso frustrata, negli anni successivi finì per condizionare il giudizio non entusiasta di Nenni sull’esperienza del centro-sinistra. Come ha scritto Paolo Pombeni, dopo il primo impatto lo slancio riformatore risultò «decisamente ridotto e ridimensionato». E tuttavia oggi, a distanza di 63 anni dalla prima maggioranza di centro-sinistra, possiamo valutare il bilancio di quella stagione anche con lo sguardo lungo di chi sa cosa è accaduto nei decenni successivi, in particolare nell’ultimo trentennio: la politica si è limitata a gestire il declino e il Paese è scivolato su un piano inclinato. Allora la storia seguì un corso del tutto diverso. Nell’estate del 1960, quando ha inizio il ciclo del centro-sinistra, il Paese era quello ereditato dal centrismo. Stabilità sociale e politica ma a costi alti: repressione, immobilismo, sessuofobia. Quando il ciclo si chiude, nei primi mesi del 1976, l’Italia è un Paese più civile, più libero, più giusto. Certo, tutta la società si era messa in movimento, ma accanto alle riforme più incisive (nazionalizzazione dell’energia elettrica, scuola media obbligatoria, Statuto dei lavoratori), la classe politica diede anche risposta a paure fondamentali come la vecchiaia e la malattia. È allora che furono fissati i pilastri della sanità pubblica e del sistema previdenziale. È allora che nasce lo Stato sociale in Italia. Anche altre innovazioni dimostrano la capacità di quella classe dirigente di rispondere ai fermenti della società: talora con risposte tardive, clientelari, costose o partitocratiche, ma provando comunque a non smarrire il filo del cambiamento possibile. (…) I due governi Fanfani (tra il luglio 1960 e il giugno 1962), nati con l’astensione contrattata dei socialisti, come è noto, realizzano due riforme “pesanti”. La nuova scuola media inferiore obbligatoria contribuisce ad alfabetizzare stabilmente la grande maggioranza della popolazione, intaccando secolari confini di classe, se si pensa che sino ad allora l’80% dei giovani, dopo i 10 anni, abbandonava gli studi o passava all’istruzione professionale. Con la nascita dell’Enel, l’elettricità a buon mercato raggiuge tante aree del Mezzogiorno, ma anche quelle località nelle quali l’energia costava cara, perché non garantiva facili profitti ai “padroni del vapore”. Come dimostrò la tragedia del Vajont. Il 9 febbraio 1963 viene scritto per legge: “La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura (…). Diverso è il contesto nel quale si muovono i tre governi Moro-Nenni, tra il dicembre 1963 e il giugno 1968. Devono gestire l’urto delle elezioni del 1963 deludenti per la Dc (calata di quattro punti) e fronteggiare le resistenze delle forze conservatrici (Chiesa, Servizi, alti comandi, prefetti, esponenti della finanza e dell’impresa) che trovano argomenti anche dalla pressione socialista per nuove riforme “di struttura” (…). Tutte tensioni che si incanalarono nel “tintinnar di sciabole” del luglio 1964, quando la grave simulazione di un complotto – col beneplacito del Quirinale e la collaborazione dei vertici dei Carabinieri – ebbe l’effetto di un anestetico sul centro-sinistra “organico”. Si bloccò la riforma urbanistica, immaginata per ridimensionare una speculazione responsabile di devastazioni destinate a restare impresse nel paesaggio. E tuttavia in tanti dimenticano che il ministro dei Lavori pubblici, il nenniano Giacomo Mancini, dopo la frana nel centro di Agrigento, nel luglio 1966 riesce ad imporre la cosiddetta legge-ponte che, secondo un urbanista come Vezio De Lucia, introdusse la novità degli standard urbanistici, «una prima affermazione del diritto dei cittadini alla città», un «testo che ha segnato la storia successiva dell’urbanistica». Nel 1967 viene approvata la legge sulla “giusta causa” di licenziamento; nel febbraio 1968 passa la cosiddetta “legge Mariotti”, la riforma che trasforma gli ospedali in enti pubblici, superando il frammentato sistema precedente e obbligando gli ospedali a ricoverare chiunque abbia necessità di cure urgenti (…). Una serie di ragioni fecero dei due governi Rumor (tra il dicembre 1968 e il luglio 1970) i “finalizzatori” di riforme, sospinte anche dalla pressione di Cgil, Cisl e Uil. Il 20 maggio 1970 viene approvato lo Statuto dei lavoratori, che cambierà la vita quotidiana per milioni di persone. Durante i governi guidati dal doroteo Mariano Rumor, con il socialista Francesco De Martino come vice, nel 1969 viene approvata una costosa riforma previdenziale che introduce novità epocali: la pensione viene agganciata all’ultimo salario sulla base e chi non ha reddito, dopo i 65 anni, avrà diritto alla pensione “sociale”. E sulla spinosa questione del divorzio, si deve alla sapienza di Moro e Rumor un doppio passaggio solitamente dimenticato. Moro chiede di tener il governo fuori da una questione sulla quale lo Stato è indipendente e sovrano, mentre Rumor concede il via libera a Psi, Psdi e Pri sulla legge Fortuna (che diventa legge nel 1970), in cambio delle norme istitutive per i referendum popolari…