di Giada Fazzalari
Parte questa settimana la campagna dell’Avanti! della domenica per una sanità pubblica, universale, gratuita per tutti. In Italia ci sono oggi due milioni e mezzo di persone che rinunciano a curarsi, anche a causa delle liste d’attesa troppo lunghe per usufruire del servizio sanitario nazionale. Di queste, 1,7 milioni sono persone che hanno più patologie croniche; che, in sostanza, non possono decidere se curarsi e allungare l’aspettativa di vita o accorciarla drasticamente. Si tratta della più grande e drammatica forma di ingiustizia sociale. Nell’Italia del miracolo economico, la cura delle malattie era affidata alla mutua: si chiamava INAM – Istituto Nazionale Assicurazione Malattie. Era legata al posto di lavoro del “capofamiglia” e lasciava senza cure mediche una parte importante dei cittadini. In quell’Italia i socialisti hanno sognato, e poi realizzato, coi loro ministri della sanità, da Mancini a Mariotti e ad Aniasi, una sanità gratuita e universale in cui il diritto alla salute fosse assicurato a tutti e costituisse uno strumento di riequilibrio delle diseguaglianze sociali, uno dei modi per portare avanti quelli nati indietro. Da almeno vent’anni, una parte del potere economico lavora per riportare la sanità alla dimensione dell’ingiustizia sociale: il laboratorio di questa strategia è stata ed è la Lombardia, ora guidata dal leghista Fontana, seguita a ruota dal Veneto, stesso marchio leghista. Da un lato, poli di eccellenza; dall’altro, una sostanziale inaccessibilità del servizio sanitario pubblico in tempi compatibili con le esigenze di cura. Il sottinteso è semplice: se si fa in modo che la sanità pubblica eroghi le prestazioni sanitarie con liste d’attesa di mesi e anni, chi non vuole morire ottiene le stesse prestazioni a pagamento e chi non può pagare muore, come un secolo fa. Ecco perché la salute è, oggi, una grande battaglia socialista, e andandola a combattere siamo sicuri di trovare tanti pronti a battersi con noi.