di Giada Fazzalari
I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri diventano sempre più poveri. È la fotografia amara del rapporto annuale Oxfam sulle diseguaglianze, presentato a Davos per il Word Economic Forum nei giorni scorsi, che mostra in quel “potere a servizio di pochi” un quadro impietoso delle disparità che coesistono nel mondo. Dimezzamento della quota di ricchezza detenuta dal 20% dei più poveri, stabilità del 10% degli italiani più ricchi, raddoppiati i miliardari e, con essi, i loro patrimoni. In breve: le cinque persone più ricche del mondo hanno raddoppiato i loro patrimoni e in Italia l’1% dei più ricchi detiene il 43% della ricchezza. A fronte di ciò, negli ultimi decenni, i governi nel nostro Paese hanno ridotto la soglia di attenzione verso le politiche sociali, mentre il Governo Meloni, a ben vedere, sembra aver preferito consolidare le posizioni dei più privilegiati: sabotaggio del salario minimo, salari da fame, una fiscalità che Oxfam ha giudicato essere iniqua, rendite da capitale tassate meno delle entrate da lavoro. A leggere lo studio di Oxfam per debellare definitivamente la povertà dal pianeta dovremmo attendere, a condizioni invariate rispetto ad oggi, qualcosa come 230 anni. E l’Italia? È l’unico Paese al mondo che, prima della pandemia, ancora non aveva recuperato i livelli precedenti la crisi finanziaria del 2008. Una situazione che ha provocato un risentimento che ha alimentato antipolitica, sovranismo e populismo. In Italia più che altrove. Perché, viene da chiedersi, la povertà e le diseguaglianze sono temi di cui la politica non si interessa? Perché la sinistra non si indigna, mentre si avvita su se stessa, tra candidature e salotti tv? Per rompere il circolo vizioso della povertà, dalla scuola, al funzionamento del mercato del lavoro, al sistema di welfare, la chiave per l’abbattimento delle diseguaglianze, è nella ricetta socialista. Giustizia sociale, merito, aumento dei salari, salario minimo. Ma la vera domanda è: le diseguaglianze, sono ancora un tema di sinistra?