Pasqua di sangue in terra santa

di Giada Fazzalari

Nell’ultimo mezzo secolo non era mai successo. Il consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato, con l’astensione degli Usa, una risoluzione sul cessate il fuoco a Gaza. Non è un ordine o un obbligo, ma un fatto che ha un valore politico e morale altissimo perché cambia, di fatto, la garanzia del totale sostegno politico degli Usa a Israele, segnando una distanza tra Washington e lo Stato ebraico che non era mai stata così grande. Le prime reazioni di Netanyahu non lasciano presagire un’interruzione imminente delle operazioni militari a Gaza, non in modo permanente quanto meno.  La Casa Bianca sta aumentando la pressione pubblica su Israele per prevenire un’azione militare a Rafah e spingere per lo sblocco degli aiuti umanitari, ma il premier israeliano sembra rifiutare ogni ‘concessione’ a Biden. E se Israele non rispetterà l’appello dell’Onu, potrebbe andare incontro a un inevitabile isolamento, aprendo una crepa sulla reputazione e sull’immagine dello Stato ebraico e dei suoi alleati nel mondo. Non solo: si allargherebbe lo squarcio profondissimo tra le due anime di Israele: i coloni, l’ultradestra, la gestione scellerata di un leader ormai screditato da una parte; i tanti cittadini, gli israeliani che scendono in piazza chiedendo più democrazia, dall’altra. La stessa che, ancora oggi, è messa in discussione dall’assenza del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. La risoluzione Onu non fermerà la guerra (la storia della diplomazia è piena di risoluzioni Onu disattese) ma ha segnato l’orizzonte diplomatico di questo conflitto: gli Usa non hanno mollato Israele, ma il suo presidente. Che ha fatto un errore che lo porterà al fallimento: ha iniziato una guerra senza prevedere l’approdo e ora è schiavo dell’imprevedibilità. Non si ferma, intanto, la strage tra i civili innocenti palestinesi: 32 mila morti, carestia gravissima, fame e malnutrizione. Una Pasqua di sangue in Terra santa. Niente di più paradossale.

Ti potrebbero interessare