di Giada Fazzalari
Il tema sembra essere quasi impronunciabile, per non essere tacciati di partigianeria o, peggio, di simpatizzare per i terroristi di Hamas. Ma finché non saremo in grado di affrontare il tema dei diritti del popolo palestinese – in sostanza, di affrontare la questione palestinese a lungo ignorata – non saremo in grado di comprendere a fondo le ragioni di quanto è successo negli ultimi settant’anni in Medio Oriente, come di prefigurare degli scenari di pacificazione. Eppure il diritto dei palestinesi di avere riconosciuta la propria terra, un proprio governo, una propria autonomia ma soprattutto la libertà, era stato il cuore degli accordi che avevano visto stringersi le mani di leader come Shimon Peres, Yitzhak Rabin, Yasser Arafat; gli ultimi due hanno peraltro pagato con la vita il prezzo delle loro idee. Accordi che avevano garantito una certa stabilità e che avevano fatto immaginare che si potesse raggiungere l’agognata soluzione dei “due Popoli – due Stati”. L’avvento di una destra estremista nell’unica democrazia dell’area, affiancata all’emersione di una cruenta lotta armata delle caratteristiche terroristiche, come quella di Hamas a Gaza, è stata la benzina sul fuoco che sembrava sopito. In questa situazione, solo tornare alle ragioni del conflitto può aiutare a riportare l’area in una condizione di stabilità. Per affrontare questa sfida, serve la disponibilità di ragionare sui diritti dei palestinesi. Quindi un ricambio radicale delle leadership nei due territori e servirebbe una caratura politica che è difficile ritrovare sia in Netanyahu, leader di estrema destra ormai screditato nel suo stesso Paese, che nel vecchio Abu Mazen, da tempo indebolito. Non a caso in Israele si susseguono dimostrazioni di piazza nelle quali cittadini chiedono al leader del Likud di andarsene; la speranza per la maggior parte degli israeliani è quella di un cambio di passo politico importante; perché la pace è un bene preziosissimo. Per i palestinesi non può che essere lo stesso: una nuova guida che sappia tradurre la necessità di declinare i propri diritti riconoscendo Israele e i diritti del popolo ebraico. Va spezzato quel legame utilitaristico che di fatto lega la destra israeliana ed i fondamentalisti di Hamas; come se la ragione di esistere dell’uno dipendesse dall’esistenza dell’altro. Una visione nuova delle necessità di questa parte di travagliato mondo, che si formi su occhi nuovi capaci di guardare al futuro.