di Alessandro Silvestri
Il bollettino che arriva ormai quasi quotidianamente dal fronte degli incidenti sul lavoro, non ci può lasciare imbelli al ruolo di spettatori che passivamente assistono ad un fenomeno purtroppo in crescita nel Paese. I primi due mesi dell’anno registrano già ufficialmente 119 morti (+19 rispetto al 2023) mentre le denunce di infortunio sono già 92.711 (+7,2%). Ma facendo un calcolo approssimativo (si spera per eccesso), il numero sarà già intorno ai 200. Destano sconcerto e maggior scalpore, e fanno notizia i casi di cronaca più cruenti, come i 5 morti lo scorso agosto sui binari di Brandizzo, i 5 del 16 febbraio ’24 all’Esselunga di Firenze, e i 7 rimasti nelle viscere della centrale elettrica di Suviana. Ma lo stillicidio è pressoché giornaliero, e il governo di questo Paese dovrà pur cominciare da qualche parte a mettere ordine nel settore. E visto che quello delle costruzioni è tra i più colpiti, il nuovo codice degli appalti varato appena l’anno scorso, avrebbe dovuto stabilire anche una regola semplice: le società (spesso di capitale ma non di addetti) che vincono le gare, sono obbligate a non affidare in subappalto a più di una ditta settoriale. Stop ai subappalti a cascata dove chi fa poi materialmente i lavori è spesso il più male in arnese, sotto tutti i punti di vista: da quello salariale a quello della sicurezza sul lavoro.
Bene hanno fatto anche CGIL e la UIL di Bombardieri, con lo sciopero generale dell’11 aprile, a suonare nuovamente le campane d’allarme per svegliare la classe politica, quella imprenditoriale, ma anche il sistema mediatico a non abbandonare il tema.
Gli altri dati disponibili ci raccontano che i lavoratori coinvolti in incidenti sul luogo dove operano (ma anche nel tragitto casa-lavoro) sono il doppio delle lavoratrici, che il fenomeno è in aumento al Nord, che sono in aumento pure le vittime ultra sessantacinquenni (dato che meriterebbe approfondimento) e che gli stranieri extracomunitari sono in percentuale vittime tre volte superiori ai connazionali. Il dato è in aumento anche nel resto d’Europa, dove la maglia nera (una volta tanto non ci tocca) è la Francia con 3227 infortuni su 100.000 lavoratori. Dati aggiornati al 2022.
Ma il mercato del lavoro, come diceva un amico giuslavorista, è fatto di persone vive, con la loro vita concreta, persone che si misurano quotidianamente con le loro aspettative e necessità. Eppure, rischiamo di dimenticarlo, un lavoratore povero non ha certezze, non riesce ad accumulare risparmi, ha bassi consumi. Questo si traduce in scarsi stimoli per le imprese a innovare. E genera ricadute negative, per esempio, sulla natalità, perché induce le coppie ad avere un minor numero di figli o addirittura a non averne, ad abbandonare le località più piccole, per la grande incertezza a garantire loro un futuro. Al tempo stesso accentua le disuguaglianze di reddito e di tenore di vita tra la popolazione. E questo fenomeno ormai ampiamente conosciuto e categorizzato come “lavoro povero” è l’altra faccia della medaglia del bollettino di guerra. Siamo ormai al 12% della forza lavoro, che a fronte di dati che parlano di lieve discesa della disoccupazione, non riescono a dare risposte adeguate rispetto al rapporto tra costi e benefici, di coloro che un lavoro sono riusciti a trovarlo. Quasi inutile dire che tra i settori sociali più colpiti, troviamo nuovamente i soliti. Le donne, i giovani, gli abitanti del Sud, gli stagionali, le famiglie monoreddito, le famiglie dei lavoratori vittime di infortuni, o con disabili.
E – lo diciamo anche a sinistra – la sola battaglia per il salario minimo, rischia già di non essere più sufficiente a contrastare tutti i fenomeni che si sono affacciati nel mondo del lavoro negli ultimi anni. I contratti atipici e a tempo parziale, se è vero che innalzano l’asticella del numero di occupati, non garantiscono al contempo un livello di vita minimamente sopra la soglia della decenza.
Se non si applicano criteri scientifici e statistici adeguati al settore, che corroborino i salari con un nuovo welfare, ad esempio sulle necessità abitative, e sui servizi essenziali come scuola e assistenza sanitaria, si creeranno schiere di dead man walking, che innescheranno inevitabilmente nuove polveriere sociali già in questo decennio. Ed è un tema che deve vedere anche gli enti locali protagonisti in prima linea.