In Italia milioni di persone devono rinunciare a curarsi

di Daniele Unfer

Ci si trova a scrivere spesso di spesa sanitaria. Purtroppo non per dare segnali positivi, ma tutt’altro.  Due elementi in particolare preoccupano, la diminuzione degli investimenti per la salute dei cittadini e la tendenza, divenuta ormai consolidata, da parte di molti a rinunciare a curarsi per motivi economici, aggravata dalla difficoltà di accesso alle cure pubbliche. Un salto indietro che segna un regresso del benessere collettivo e del livello di civiltà di un paese. Dati in questo senso arrivano da più parti. Dal Def 2024 varato dal Governo si evince  che il rapporto fra la spesa sanitaria e Pil, pari al 6,3 per cento nel 2025 e nel 2026, si assesta al 6,2 per cento nel 2027. Il Governo nella manovra dello scorso anno ha messo risorse a malapena sufficienti per coprire gli aumenti contrattuali dei medici, tra l’altro insufficienti, in una situazione di aumento inflazionistico. Nulla si  è fatto invece sugli investimenti diretti nella sanità. Ma sono i numeri della Fondazione Gimbe sulla spesa sanitaria delle famiglie nel 2022 a riportare i dati nella sua cruda realtà. Sono i dati presi dall’Istat e poi rielaborati. Il quadro evidenzia che costi eccessivi, lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso sono alcuni dei motivi che hanno costretto oltre 4,1 milioni di persone a limitare le spese per esami o visite specialistiche. In sostanza, si rinuncia a curarsi. Nel 2022 la media nazionale delle spese per la salute per una famiglia è aumentata di 64 euro rispetto all’anno precedente. Una cifra che sale a 100 euro nelle aree del Centro e del Sud Italia. Questi aumenti hanno delle ricadute sulla tenuta del Servizio sanitario nazionale, ma anche sulla salute delle persone. Secondo l’indagine Istat sul cambiamento delle abitudini di spesa, infatti, nel 2022 oltre 4,2 milioni di famiglie hanno limitato la spesa per visite mediche e accertamenti, mentre 1,9 milioni ha dovuto rinunciare alle cure mediche per indisponibilità economica ma anche per  difficoltà di accesso, per esempio quando le strutture sanitari sono particolarmente lontane dalla propria residenza. Un problema che si incrocia anche con quello della carenza dei trasporti pubblici. Ma soprattutto, con le liste di attesa interminabili. Quando per prenotare un semplice esame diagnostico servono, se va bene, sei mesi di attesa, chi non ha possibilità di ricorrere al privato, preferisce affidarsi alla sorte. Sono situazioni diffuse su tutto il territorio nazionale senza sostanziali differenze tra Nord e Sud Italia. Dati che si intrecciamo con quelli della povertà assoluta che l’Istat ha recentemente registrato in crescita dal 7,7 al 8,3% delle famiglie. Circa 2,1 milioni di famiglie: numeri, sempre secondo l’Istat, destinati a salire. Due tendenze al rialzo, quelle sulla rinuncia alle cure e sulla povertà assoluta, che  danno vita a un quadro allarmante. Insomma ancora una volta il Governo ha tradito le attese dei cittadini italiani proseguendo nella sua azione di smantellamento della sanità pubblica. Da una parte non si riesce a porre un freno all’uso scriteriato dei gettonisti, con la conseguenza di non affrontare la piaga del precariato negando così le certezze per i tanti professionisti che stanno sopportando sulle proprie spalle il peso del Servizio sanitario nazionale, dall’altra invece si vara un Documento di economia e finanza che assesta l’ennesimo colpo mortale al Ssn. Il Def è la desolante conferma della scelta di questo Governo di non voler rilanciare il Sistema Sanitario Pubblico e di voler continuare a colpire le fasce più deboli della popolazione. Nel triennio 2025-2027, si prevede una crescita della spesa sanitaria a un tasso medio annuo del 2 per cento. Un incremento che si attesta a tre decimi in meno della “soglia di sopravvivenza” dei servizi sanitari fissata dall’ Ocse. Insomma un Def in cui manca qualsiasi previsione esplicita di investimento forte sia nel personale sanitario che nella presenza sul territorio.

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