di Giada Fazzalari
Diceva Voltaire che il grado di civiltà di un Paese si misura dalla condizione delle sue carceri. Una affermazione che trascende i tempi ed arriva ai giorni nostri con prepotente attualità. E a ben guardare, in Italia siamo messi male. Detenuti in celle sovraffollate, in spazi comuni angusti, con i nervi che saltano e la frustrazione che cresce.
C’è di più: il numero dei suicidi di detenuti, dall’inizio dell’anno, getta vergona sulla nostra civiltà.
Andiamo orgogliosi di essere un paese che ha preceduto altri in Europa nel ripudiare la pena di morte: dopo averla abolita col codice Zanardelli all’alba del 900, l’abbiamo cancellata alla fine della guerra. Diversamente da noi, in Europa nazioni civili hanno continuato a ghigliottinare, impiccare ancora per lustri, fino a riconoscere l’incompatibilità tra pena di morte e civiltà europea. L’impressionante sequenza di suicidi in cella imporrebbe a chi ha la responsabilità di governo di interrogarsi sulle ragioni di questa strage. L’approccio della destra al potere, di Nordio in primis, è semplicistico: i suicidi sono una conseguenza del sovraffollamento. Quindi la ricetta è: a medio termine, nuove carceri; a breve termine, adattare le vecchie caserme a luoghi di detenzione, sfollando gli istituti penitenziari. Fingono di non sapere che a condurre al suicidio è la perdita della speranza di ritornare a una vita che meriti questo nome; a uccidere è il non poter vedere una prospettiva. A uccidere sono l’abuso della custodia cautelare e la scarsità delle pene alternative al carcere; educatori che mancano e magistrati di sorveglianza assenti. A uccidere è un sistema così intriso di un’impostazione esclusivamente afflittiva, da sembrare incapace di tenere il passo dei tempi e la coerenza costituzionale. E che lascia soli davanti alla disperazione. Come si può tollerare questa pena di morte dissimulata e strisciante, che conduce al supplizio finale ogni anno decine di detenuti nelle nostre carceri? Ministro Nordio, come puoi accettare tutto questo?
