di Nautilus
Per sessanta lunghi anni, dal 1944 al 2004, la feroce tragedia delle foibe è stata accuratamente rimossa dalla memoria nazionale, per ragioni diverse che vedevano silenziosamente d’accordo i democristiani, i comunisti e i loro eredi politici. I primi preferirono non riaprire più una ferita che si era suturata a fatica, i secondi erano stati stretti alleati delle formazioni titine, i partigiani comunisti promotori dei massacri. Gli unici, per la verità, che non avevano dimenticato erano stati i missini e si deve ad un deputato della destra, Roberto Menia, l’iniziativa parlamentare che nel 2004 ha portato all’istituzione del Giorno nazionale del Ricordo. Una giornata che, se si eccettuano gli sforzi dei Presidenti Ciampi, Napolitano e Mattarella, non è mai stata introiettata dai cittadini per quel che fu: una delle più disumane tragedie della seconda guerra mondiale. Quel doppio strappo – migliaia di persone gettate nelle foibe e l’esodo di circa duecentocinquantamila italiani strappati dalla loro terre dalmate e istriane – è stato denunciato sempre dalla destra e ha visto la sinistra costantemente sulla difensiva, attestata sulle colpe pregresse dei fascisti in Istria e in Dalmazia. Che ci furono e inasprirono gli animi, ma che in sede storica non sono mai state considerate la causa diretta e “automatica” dei delitti successivi. Quest’anno, la ventesima giornata del ricordo coincide con la presenza alla guida del governo della leader di una destra che affonda le sue radici nella storia dell’Msi. Con i tempi che corrono, complicato immaginare che da sinistra qualcuno riconosca proprio ai post-missini il merito, ebbene sì, di aver tenuto viva quella memoria scomoda e tuttavia sarebbe lecito aspettarsi dalle opposizioni un giudizio meditato su quella vicenda storica. Senza ricorrere ai soliti, “si, ma…”. Lo stesso atteggiamento può valere per la destra, oggi di governo: un ricordo nel segno del revanscismo rancoroso sarebbe il modo peggiore per rendere memoria a quelle povere vittime che furono gettate ancora vive negli abissi carsici, o a quei tantissimi italiani che dovettero caricare su un carro le cose di una vita e cercarsi un nuovo destino per sfuggire alla furia etnica del nazionalismo titino.