Meloni, adesso chi paga i tuoi pasticci?

di Stefano Amoroso

Redditometro si, no, forse. Il sorprendente balletto dei giorni scorsi, a proposito di una delle misure fondamentali per il contrasto all’evasione fiscale italiana, la dice lunga sullo stato confusionale del Governo Meloni, a pochi giorni dal voto per le elezioni europee. Riepiloghiamo i fatti: lo scorso 7 maggio il viceministro all’Economia con delega alla riforma fiscale, Maurizio Leo, membro di FdI e fedelissimo della Meloni, ha firmato un decreto per introdurre nuove regole per il cosiddetto “redditometro”. Lo strumento, anche detto “spesometro”, in passato ha consentito di scoprire intere sacche di evasione e numerosi evasori totali. D’altro canto, il redditometro è stato criticato per i possibili abusi e l’impatto negativo che può avere sulla vita privata dei cittadini. Proprio per questo il primo Governo Conte, nel 2018, su spinta della Lega, che non ha mai amato (eufemismo) il Grande Fratello del Fisco, ha abolito gli strumenti induttivi utilizzati nel redditometro, rinviando ad una futura norma che poi non c’è stata, né con quel Governo, né con i successivi. Tuttavia, il redditometro, in sé, non era stato abolito. Anzi, senza criteri induttivi precisi e prestabiliti, teoricamente si sarebbero potuti fare accertamenti ancora più invasivi nella vita dei cittadini. Quindi non è campata in aria la preoccupazione di chi, come il viceministro Leo, vuole regolamentare meglio sulla materia, temendo il caos. Però evidentemente non deve essersi inteso bene con altri pezzi della maggioranza, a cominciare dalla Lega. Sta di fatto che, dopo la pubblicazione in Gazzetta del decreto firmato dal viceministro, lo scorso lunedì 20 maggio, le polemiche sono esplose così duramente, da spingere la stessa Meloni ad intervenire mercoledì 22, e ritirare il decreto. Che è rimasto in vita, così, poco più di 48 ore. Gli effetti di questo brutto pasticcio, tutto interno alla maggioranza, sui risultati delle elezioni europee, li vedremo tra pochi giorni. Ma già adesso possiamo dire che questa vicenda è la riprova che, su un tema delicato come la riforma fiscale, questa maggioranza è tutto fuorché unita. Così come non ha le idee chiare sulla politica economica da perseguire, e prova ne è il Def presentato alle Camere poche settimane fa: incredibilmente, e per la prima volta nella storia repubblicana, era privo di numeri. La premier Meloni ci aveva promesso che il Governo sarebbe stato trasparente, unito ed incisivo. Soprattutto in materia di economia e finanza. Palazzo Chigi doveva essere una casa di vetro. E invece somiglia ogni giorno di più alla “Casa di carta”, la fortunatissima serie di Netflix su una banda di astuti criminali spagnoli. Un altro indizio della confusione della maggioranza è la questione del Superbonus: da quando il Governo Meloni ha giurato sulla Costituzione ad oggi, tra deroghe e rinvii, la spesa è esplosa.  Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, infatti, sul 117,2 miliardi di euro di spesa accertata fino a fine marzo scorso, 66 si sono verificati durante il Governo Meloni. Ovviamente, per Giorgetti & Co., le colpe sono sempre degli altri: di chi ha scritto le norme sul Superbonus, per esempio (Governo Conte II, quello con i Cinquestelle alleati del PD e di Articolo Uno), o dell’Agenzia delle Entrate che applica il redditometro per perseguitare i poveri cittadini italiani. E, naturalmente, quando i mercati finanziari torneranno a farsi sentire ed a scommettere sull’insolvenza del debito pubblico italiano, facendo così aumentare lo spread, dai banchi della maggioranza si denuncerà il solito complotto internazionale contro l’Italia. E sicuramente non mancano gli ascari del Governo per la stretta finanziaria già in atto (è stato chiesto ai Comuni di tagliare 250 milioni dai bilanci locali, cominciando dagli Enti più impegnati nei progetti del PNRR): i liberali “duri e puri” di Azione, per esempio, si esaltano ogni volta che si può tagliare la cosiddetta “spesa improduttiva” e risanare il bilancio. In questo modo, però, si dimentica che la cosa di cui questo Paese ha disperatamente bisogno è una politica economica di medio e lungo periodo, articolata, lungimirante e coraggiosa. Nessuna indulgenza per sprechi e ruberie, certo, ma se, dopo anni di tagli agli “sprechi”, abbiamo un debito pubblico ancora più alto, un deficit da ridurre, ed una spesa sociale così squilibrata da mettere in discussione la tenuta sociale della Nazione, è ora di cambiare cura, e probabilmente medici, prima che il paziente muoia.

 

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