Combattere una guerra in un’area densamente affollata, non può che portare ad una continua strage di civili. Ed è quello che sta succedendo a Rafah. A poco è valso l’aver spostato (per l’ennesima volta) un milione circa di palestinesi dalla città del sud della Striscia verso la periferia (secondo dati dell’Unrwa) se, come abbiamo tristemente potuto vedere, dozzine di civili palestinesi sono rimasti uccisi dagli attacchi aerei di Tel Aviv proprio nei campi profughi. Quegli stessi campi che l’Idf aveva definito come “sicuri”. Gli episodi di questo tipo, compreso quello di Tal al Sultan, sono all’attenzione della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja che sta da tempo indagando il governo israeliano per crimini di guerra. Netanyahu non perde l’intenzione di entrare massicciamente a Rafah, dove dice si nascondano le milizie di Hamas non ancora scovate in otto mesi di guerra. Diversi sono i carri armati con la stella di David già al centro della città. E mentre i terroristi di Hamas continuano a farsi scudo degli ancora circa trecentocinquantamila civili presenti in città, le morti tra i cittadini inermi degli ultimi giorni scuotono ulteriormente le opinioni pubbliche occidentali. Tanto da poter far cambiare il quadro generale. Secondo il giornale israeliano Haaretz, non meglio identificati “diplomatici europei”, rappresentanti dei Paesi da sempre sostenitori di Israele, ancor più dopo il 7 ottobre, hanno valutato che quanto sta succedendo a Rafah porterà a dure condanne nei confronti di Israele e influenzerà anche il modo in cui i loro Paesi considereranno l’ordine che arriverà dalla Corte Internazionale di Giustizia, che Netanyahu avrebbe voluto invece assai morbido. Il quotidiano riporta come, per tali diplomatici, sia impossibile ignorare il momento terribile causato da questi che vengono definiti “incidenti”, destinati a far aumentare la pressione sul governo di Tel Aviv per una sospensione completa dell’offensiva su Rafah, ma anche della guerra in generale. Questo confermerebbe quanto da più voci veniva già annunciato, ovvero che la soluzione di entrare massicciamente a Rafah e di fatto raderla al suolo così com’è successo per il resto della Striscia, non sarebbe stata la soluzione. Non solo perché in gioco ci sono un numero spropositato di vite umane di civili palestinesi, ma anche perché quest’offensiva non avrebbe in alcun modo garantito il recupero degli ostaggi ancora nella mani di Hamas. Ecco perché anche il presidente Macron e l’alto commissario Ue per la sicurezza Borrell non hanno mancato di far sentire la loro voce; il primo chiedendo un cessate il fuoco immediato stante l’impossibilità di proteggere i civili, come si è ampiamente dimostrato in questi giorni; l’altro, molto critico nei riguardi del governo di Netanyahu, accusando il Primo Ministro di violare ripetutamente gli ordini impartiti dalla Corte internazionale. Non è forse molto, ma è già qualcosa rispetto all’assordante silenzio del passato.