di Lorenzo Cinquepalmi
Nel giro di pochi giorni si sono verificati una serie di eventi di grande impatto sulla situazione mediorientale. Nei giorni passati, il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu, apertamente contestato in piazza dai suoi cittadini, ha subìto pesanti critiche provenienti da due esponenti del suo governo di unità nazionale: Benny Gantz e Yoav Gallant. Messa in discussione dai due ministri, in modo molto duro, la conduzione della guerra a Gaza da parte del premier, che viene accusato di agire al di fuori della collegialità del governo. Entrambi lo accusano, finalmente in modo chiaro, di operare scelte non nell’interesse degli israeliani ma perseguendo un personale tornaconto politico; critica, questa, che le colonne di questo giornale hanno sollevato da molto tempo insieme alla chiara denuncia della strage di trentaseimila civili come un efferato crimine di guerra. L’attacco politicamente più pesante è stato quello di Benny Gantz, capo dell’opposizione parlamentare a Netanyahu, entrato nel governo di unità nazionale dopo la criminale incursione di Hamas del 7 ottobre 2023 e, oggi, accreditato come potenziale vincitore delle prossime elezioni politiche. In diretta televisiva Gantz ha accusato il premier di boicottare tutti i tentativi di costruire un futuro politico per Gaza alternativo ad Hamas, soffiando sulla fiamma del fanatismo di entrambe le parti per garantirsi la permanenza alla testa del governo; soprattutto, ha lanciato un ultimatum: la fine dell’unità nazionale, che vuol dire elezioni, in mancanza, entro la prima settimana di giugno, di un’indicazione chiara sul futuro politico di Gaza, e sull’esclusione di un’occupazione militare stabile israeliana. Su questo scenario da resa dei conti al vertice dello stato ebraico, si sono abbattute due tempeste: la prima, la morte violenta, in circostanze non chiare, di Raisi, Presidente della repubblica islamica dell’Iran, il Paese che forse più di ogni altro sostiene Hamas, con il corollario di sospetti e smentite su di un eventuale coinvolgimento israeliano nel fatto. Una morte, quella di Raisi, che potrebbe rafforzare la dinamica degli estremismi. La seconda tempesta, però, in questo particolare momento, è risultata un “regalo” a Netanyahu: la Procura Generale del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja ha chiesto l’emissione di mandati di arresto internazionale per Netanyahu e Gallant, oltre che per i capi di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh. La questione non può essere letta solo sotto il profilo del diritto; contenuti e tempi di un simile annuncio hanno una rilevanza politica assorbente, soprattutto in considerazione della relativa efficacia immediata di quei mandati d’arresto: basti pensare che Putin è vanamente colpito da mandato da oltre un anno. Ha fatto discutere anche la scelta del modo con cui è stata resa pubblica l’iniziativa del procuratore: la richiesta d’arresto è stata da lui stesso spoilerata in un’intervista alla Cnn prima della formalizzazione. La notizia di questa improvvida intervista proprio nel momento in cui la linea fanatica di Netanyahu era entrata in crisi, è un errore politico clamoroso, soprattutto dal momento che colpisce anche Gallant, il maggiore oppositore interno nel Likud alla linea del premier. L’effetto inevitabile sarà quello di togliere spazio di manovra ad entrambi, ma soprattutto a Benny Gantz che sarà costretto a rinunciare, almeno per ora, al suo attacco. In questa prospettiva si comprende perfettamente il veemente dissenso del presidente americano Biden, impegnato in un’azione in bilico tra la condanna inemendabile di Hamas e del suo terrorismo, e l’impegno per porre fine all’azione militare israeliana a cui Netanyahu, ormai è evidente, non affida l’obiettivo di risolvere un problema ma quello di perpetuarlo. Israele è un Paese in cui l’opinione pubblica conta. Un futuro politico di pace in medio oriente, attraverso il riconoscimento reciproco dei due stati, ebraico e palestinese, ha come presupposto necessario la fine politica dei due soggetti che hanno un interesse schiettamente contrario a tale prospettiva: Netanyahu con l’ultra destra religiosa dei coloni da un lato; Hamas e l’Iran dall’altro. Due nemici che hanno bisogno l’uno dell’altro per legittimarsi reciprocamente. Il procuratore Karim Khan sta schiacciando tutta Israele dalla parte di Netanyahu che è senza dubbio un criminale di guerra ma è anche un premier democraticamente eletto. E un presidente democraticamente eletto deve essere mandato a casa politicamente dal suo popolo, non da un’azione giudiziaria esterna. Poi, quando sarà caduto, la giustizia internazionale lo giudicherà. Se la comunità internazionale non sarà capace di creare le condizioni perché siano i popoli di Israele e di Palestina a stabilire una convivenza pacifica, ci saranno sempre un Netanyahu e un Sinwar dietro l’angolo, pronti ad approfittarne per impossessarsi del potere e mantenerlo sulla pelle degli ultimi.