L’Occidente offra uno straccio di futuro alla Palestina

di Andrea Follini

Nell’infinita lotta tra due modi di vedere il mondo, tra i terroristi di Hamas ed Israele, le armi si sono prese una pausa. Abbiamo assistito ad un tregua: fragile, guardinga, armata. Ma grazie ad uno straccio di accordo, è cominciata la liberazione di alcuni dei più di duecento ostaggi israeliani (e non solo) nelle mani di Hamas. La contropartita è stata la liberazione di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane: uomini che non si sono macchiati del reato di omicidio, precisa Tel Aviv. Oltre a ciò, viene garantito l’ingresso di generi di prima necessità nella martoriata Gaza, dove c’è davvero bisogno di tutto. Perché a Gaza, la vita delle persone scampate ai bombardamenti, continua ad essere un incubo. Specie negli ospedali, dove i sanitari continuano da quasi due mesi a compiere miracoli. È di questi giorni l’accorato appello anche di Medici Senza Frontiere, il cui personale opera nell’ospedale Nasser, nel sud della Striscia: gli altri ospedali non ricevono più pazienti e non hanno più medicine, acqua potabile, carburante per i generatori; al Nasser arrivano tra le 300 e 500 persone al giorno. Un carico insostenibile. La tregua consente un po’ di respiro anche a queste persone. Ci sarebbe bisogno di ben altro in quei territori. Ad iniziare da un supporto umanitario più consistente e duraturo, con la pianificazione e la strutturazione di un’assistenza che porti verso la gestione in autonomia del proprio territorio, senza dover sempre pendere da un assistenzialismo che è esso stesso una forma di costrizione. Ma c’è la guerra, e tutto questo sembra utopia. E si sa bene che anche un momento di tregua non è da confondere con il prologo alla pace, bensì una pausa tra due combattimenti. E proprio il leader del Likud, Benjamin Netanyahu, primo ministro non si sa ancora per quanto tempo, è tra coloro che spingono per una ripresa rapida dei combattimenti, allo scopo di sferrare il colpo finale alla cupola di Hamas, non curante di quanto questo suo atteggiamento possa costare in termini di vite umane, da entrambe le parti. Ma certo Netanyahu è politicamente finito: a lui vengono attribuite le maggiori responsabilità per quanto successo il 7 ottobre scorso. Accuse senza diritto d’appello, cosa che lui sa bene. Ma il leader non è certo l’unico dei maggiorenti verso cui gli israeliani puntano il dito: tutto il precedente governo di destra, assieme ai capi delle forze armate, sono ritenuti corresponsabili di quanto successo e, specie questi ultimi, sanno che l’unica via d’uscita per non perdere completamente la credibilità è quella di estirpare definitivamente Hamas da Gaza. Obiettivo non facilmente raggiungibile, certo, ma forse nemmeno del tutto voluto, considerando che in Palestina non si vedono, nemmeno all’orizzonte, altri interlocutori moderati e credibili. Forse è per questo quindi che sempre di più hanno un ruolo importante nelle mediazioni i paesi arabi mediorientali, primo tra i quali il Qatar. L’emirato in mano allo sceicco Tamim bin Hamad Al-Thani è una pedina strategica nello scacchiere mediorientale: amico degli Stati Uniti, ma anche finanziatore della struttura terroristica di Hamas, di cui ospita diversi capi che lì hanno trovato rifugio. Una presenza ambigua nelle trattative anche per la liberazione degli ostaggi israeliani, ma efficace, a vedere i risultati. In tutto questo turbinio geopolitico spicca ancora l’assenza incisiva di quell’occidente un tempo tessitore del futuro democratico di ogni parte del mondo in conflitto. Se non fosse per la voce del leader socialista spagnolo Pedro Sanchez, in visita in Palestina ed Israele qualche giorno fa, accompagnato dal premier belga Alexander de Croo in qualità di attuale (lo spagnolo) e futuro (a partire dal 1 gennaio, il belga) presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, regnerebbe un assordante silenzio. Il socialista non ha esitato ad esprimere parole di ferma condanna rispetto all’operato di Israele nella Striscia ed al massacro di civili. Pur riconoscendo il diritto alla difesa da parte di Tel Aviv, Sanchez ha richiamato Netanyahu al rispetto del diritto internazionale. Posizione affatto distante da quella del Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, ma che il premier israeliano non ha tardato a bollare come quelle di chi voglia sostenere il terrorismo. Una reazione, quella spagnola, ancora comunque troppo debole e soprattutto priva di un coordinamento generale. La questione israelo-palestinese rischia così di rimanere ancora per lungo tempo una vicenda regionale, se non ci si affretta a delinearne i veri contorni che sono quelli di un conflitto irrisolto tra democrazia e fondamentalismo, tra capacità di esercitare un equilibrio politico-diplomatico anziché dare voce alle armi. Per dipanare il groviglio intessuto in settant’anni, serve che l’occidente assuma maggiore consapevolezza; e compia uno sforzo un po’ più incisivo per non rischiare di essere travolto dalla propria immobilità.

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