di Lorenzo Cinquepalmi
Dall’avvento della cosiddetta seconda repubblica in poi, i rapporti tra potere politico e potere giudiziario, ma anche tra potere politico ed Europa, o tra potere politico e politica internazionale, rappresentano snodi irrisolti e, probabilmente irrisolvibili. Chiunque abbia governato dal 1994 si è scontrato tanto con l’impossibilità di ricondurre entro il suo argine la magistratura esondata, quanto con la debolezza della leadership rispetto a quelle degli altri Paesi fondatori della comunità europea, o con l’incapacità di mantenere il ruolo internazionale che l’Italia aveva saputo conquistarsi nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La difficoltà è oggi enfatizzata dalla matrice largamente post fascista del partito egemone nella maggioranza di governo. Nei governi di centro destra alternatisi a quelli di centro sinistra nell’ultimo trentennio, la leadership era comunque organica al Partito Popolare Europeo. Un viatico che assicurava buone interlocuzioni all’Italia nei corridoi di Bruxelles e delle cancellerie europee, anche a dispetto della progressiva perdita di importanza del nostro Paese in campo internazionale. È chiaro che essere oggi guidati dalla leader continentale del rassemblement di partiti più reazionario, xenofobo e antieuropeista, genera difficoltà e attriti che coinvolgono l’intero Paese, come dimostrato dalla vicenda Fitto. Quanto poi allo scontro con la magistratura, Meloni e soci sembrano privi o dimentichi di un’essenziale dote politica, quella della capacità di prevedere e prevenire i problemi. Un semplice assistente di diritto dell’Unione europea avrebbe potuto scorgere il pericolo di un contrasto tra lo stesso e la strategia di esternalizzazione del processo espulsivo degli immigrati irregolari. Averlo ignorato, consapevolmente o, peggio, incoscientemente, peraltro investendo risorse clamorosamente sproporzionate al numero dei clandestini avviabili in quel percorso, è un sintomo di inadeguatezza impressionante. Non si può escludere che ci sia una frazione organizzata della magistratura più contraria a questo governo che ad altri, ma è altrettanto vero che lo stesso, e il suo azionista di maggioranza Fratelli d’Italia, sembrano fare giorno si e giorno no la domanda in carta da bollo per farsi impallinare, tanto nella scelta di certe iniziative come nella scelta di certi esponenti. Ma se dal punto di vista della sensibilità politica Meloni e sodali paiono aver appreso poco dell’arte del governo, nelle modalità di esercizio del potere risultano avere fatto tesoro della lezione dei totalitarismi di destra, capostipite Mussolini: che si tratti dell’agire del ministro di polizia Piantedosi con le manganellate ai liceali, o della permeabilità dei funzionari di polizia alla volontà dei capimanipolo in camicia nera nelle manifestazioni neofasciste, o, ancora, delle chiamate a rapporto dal capo del governo di un vicepresidente del Csm, oppure delle epurazioni nei media, pubblici o acquisiti all’area, è facile percepire che la normalizzazione del dissenso con qualsiasi mezzo sia un obbiettivo primario per una leadership costruita sulla propaganda. Obbiettivo da perseguire senza troppi scrupoli per legalità e diritti civili. Poteva, in questo scenario, mancare una corrispondenza di amorosi sensi con un neopaladino della destra occidentale come Elon Musk? Non è una boutade: gli occhiolini tra Mrs Meloni e Mr Tesla durano da un pezzo, mentre le attenzioni di quest’ultimo verso il quarto Paese esportatore al mondo, che con tutti i suoi difetti ha ancora degli appetitosi giacimenti di eccellenza, dovrebbero insospettire qualsiasi vero democratico e vero patriota. Ma si sa, per chi ama la camicia nera, Patria è solo una parola con cui riempire la bocca.