L’Autonomia differenziata spacca l’Italia e non porta consenso al Governo

di Ernesto Pappalardo

L’autonomia differenziata è stata già derubricata da tempo (dalla nascita del provvedimento) tra alcune forze di maggioranza (FdI e Lega) a faccenda da approvare al più presto per arrivare al “grande” patto in grado di definire, con la stessa accuratezza degli accordi tipicamente di potere, il percorso – il percorso temporale, non altro – per arrivare all’approvazione di un altro provvedimento, ritenuto più funzionale alle logiche politiche del presidente del Consiglio. È un provvedimento che si appresta a cambiare l’Italia e gli equilibri in tanti palazzi del potere romano e post-romano. Lo spettacolo apparso sul palcoscenico della Camera dei Deputati – riconvocata per venerdì 3 maggio – è di quelli molto lontani dalla logica costituzionale, ma anche, va detto, dal buon gusto parlamentare che non può e non deve travalicare il fermo e ostinato rispetto dei cittadini. Né è possibile tacere che in Commissione Affari costituzionali si è fatto ricorso all’applicazione della cosiddetta “ghigliottina”: 80 emendamenti votati rispetto ai 2.200 presentati. Come definire questo “esemplare” aspetto? Di fronte ad una mobilitazione delle opposizioni che si può, a questo punto, definire non soltanto politica, ma soprattutto di carattere civile – basti pensare alle proteste che stanno prendendo piede in tantissime città italiane, ma anche in altre nazioni europee – si comprende meglio la vera e autentica portata di scambio vero e proprio sul tavolo di specifici partiti, ma con “carte” davvero pesanti, in grado di cambiare, trasformare, l’intero apparato istituzionale. Siamo di fronte a una forma di attuazione dell’autonomia che intende – consapevolmente e anche, purtroppo, inconsapevolmente – “adeguare” le regioni del Nord, primariamente, alla piena disponibilità non solo del potere leghista (stiamo parlando di forme specifiche e nette di potestà legislativa e amministrativa) in materia di istruzione, paesaggio, patrimonio artistico e ambientale, sanità, sistema dei trasporti, energia (solo per citare alcuni casi che destano autentico scalpore). La domanda primaria che insorge, nasce dalla constatazione di tutto quello che ha preso forma proprio per chi richiama ancora tutti, nella sua veste di rappresentante istituzionale del sistema- Paese, alla ricognizione effettiva delle valenze dell’Italia, anche se la campagna elettorale in corso per le elezioni europee può, senza dubbio, rappresentare il tentativo di applicare una geografia destrista in materia di identificazione concreta di valori e obiettivi a dir poco collocabili nell’area cronologica degli anni ‘50 e ‘60. Ma quello che permane e che segna nella sua valenza effettiva lo stile di governo di questa maggioranza – senza troppe differenziazioni al suo interno – è l’effettiva volontà di discutere nel merito specifico di quanto si sta proponendo e approvando, nella piena consapevolezza di scendere nella sequenza effettiva delle fondamenta istituzionali della nostra Repubblica. Insomma, la piena consapevolezza che è proprio la necessità di non discutere il provvedimento (e che non è solo l’impostazione leghista a fare scorgere la mancanza di un quadro istituzionale pienamente sostenibile) ad alimentare l’accordo che Fratelli d’Italia porta fino al traguardo, che ci fornisce il quadro di fronte al quale le forze di sinistra e di centro si sono trovate ad opporsi e a richiamare l’attenzione generale. Non c’è da constatare altro di rilevante, ma rimane la sensazione, in molti casi la consapevolezza, che non sono affatto pochi i parlamentari di destra e di centro a non considerare votabile questo provvedimento pienamente leghista. Ed è a loro che deve indirizzarsi l’appello finale: ricordatevi che siete italiani, non i leghisti che con questo atto puntano a dividere il Paese, a renderlo, in realtà, una polifunzionalità di più aggregati locali, dotati di forme di autonomia economica che da tempo hanno raggiunto soglie trainanti per la stessa Italia. E questo la Lega lo sa talmente bene da non volerlo scrivere nero su bianco.

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