Intervista a Elena Matteotti: «Non strumentalizzate mio nonno Giacomo. La sua elezione? La cultura ed il coraggio

Intervista di Giada Fazzalari

“Sapevo che questo momento sarebbe arrivato” – dice sorridendo Elena Matteotti quando la raggiungiamo al telefono al mattino presto, mentre si trova alla Casa Museo di Fratta Polesine dedicata al nonno Giacomo. Elena, 62 anni, insegnante di italiano agli stranieri migranti, primogenita di Matteo Matteotti, uno dei tre figli di Giacomo e Velia, si riferisce a questo “ricongiungimento” con l’Avanti! “il giornale che nonno portò ogni giorno della sua vita sotto il braccio” e dove, a cavallo dei giorni di giugno del ’24, in un articolo di fondo a commento del rapimento del segretario del Partito Socialista Unitario, si leggeva: “Vogliamo giustizia sul serio”. E ancora: “Ormai è certo: l’On Matteotti è stato assassinato e il suo cadavere nascosto. I nomi degli esecutori del delitto sono noti, ma chi sono i mandanti? Le opposizioni deliberano di disertare la Camera”. L’Avanti! era all’epoca diretto dal giovane Pietro Nenni ed era considerato quasi l’unico giornale d’opposizione, così libero da divenire pericoloso per i disegni criminali del fascismo che era ormai alle porte e di cui molti non avevano ancora “visto” le conseguenze nefaste che avrebbe poi avuto sul nostro Paese. “La persecuzione continua!” – si leggeva ancora in quella prima pagina che dava notizia del ritrovamento del cadavere di Matteotti il 17 agosto del ‘24. “Siamo stati sequestrati ancora una volta. È  la settima di carattere generale e impedisce che questa nostra voce libera giunga a tutti i compagni, a tutti i fratelli che tendono come noi alla liberazione da questo giogo oppressore e sospirano giorni di sole, di libertà e di giustizia”. Il motivo? “vilipendio ai poteri dello Stato”. Censura, sopraffazione, oppressione, squadrismo – metodi fascisti, insomma – nei confronti del giornale che esprimeva una voce libera contro il regime di colui che oggi, dopo cento anni, viene definito da alcuni “uno statista”. Elena Matteotti, con sua sorella Laura, è l’ultima discendente di Giacomo e ha scoperto solo da poco la vicenda umana, storica e politica del nonno. In questo colloquio con l’Avanti! della domenica ci racconta: “in famiglia non se ne parlava, al punto che il suo nome era vissuto come un tabù”. Il padre Matteo aveva solo tre anni, nel ’24, quando Giacomo Matteotti fu rapito e brutalmente assassinato dai fascisti.  Il primo delitto politico fu così dirompente che in casa persino il ricordo diventò così doloroso tanto da confinarlo nei libri di storia. “Mio padre non me ne parlò mai a fondo, mi fece conoscere Giacomo solo attraverso il libro che riporta il carteggio delle lettere di Giacomo e Velia”- ci confida con un pizzico di amarezza. Ora però ha deciso di conoscere meglio la figura del nonno ma soprattutto vuole contribuire a far sì che non resti un semplice “santino”, nell’anno del centenario dall’assassino. Ma bisogna lavorare, insieme a chi crede nei valori di libertà e democrazia, perché la “lezione” di Matteotti non venga dispersa.

 

In occasione di una festa significativa, quella del 25 aprile, hai fatto una appello al governo e alle forze politiche che ha fatto il giro di tutti i giornali. Hai chiesto “il coraggio di esporsi”, contro la sopraffazione e per la libertà di espressione. Cosa ne hai tratto?

«Non avevo mai fatto appelli fino ad ora ma questo mi è sgorgato dal cuore. Ora sto prendendo coscienza di chi è stato mio nonno e dei valori del 25 aprile. È stato un invito più che un appello e l’ho fatto perché sono nipote di Giacomo e in questo periodo storico ho ritenuto doveroso che il governo prendesse una posizione chiara su ciò che è stato. Un invito a ricordare, soprattutto.
Ed è stato ignorato. E la cosa non mi stupisce».

Hai sentito l’esigenza di fare questo invito e perché tu pensi che sia un periodo in cui quei valori a cui ti sei richiamata, e a cui Giacomo ha dedicato tutta la vita, siano a rischio?

«Sì, è esattamente per questa ragione. E credo che sia un periodo pericoloso. Credo che ci sia una finta libertà di espressione e che in realtà non sia garantita. E ho la sensazione che esista una sorta di censura strisciante dei valori di libertà. Sono convinta dell’assenza di valori di riferimento morali e culturali che possano fare da argine».

Credi ci sia il rischio di un  ritorno al fascismo? 

«No, non lo temo perché sono convinta che il fascismo non possa ritornare. Però è evidente che stiano tornando una nostalgia ed una mentalità pericolose. Oggi qualcuno dice: “Mussolini ha fatto cose buone”»

Il generale candidato dalla Lega alle europee dice che gli italiani hanno la pelle bianca e che i bambini disabili debbano essere separati in classi diverse dai bambini sani…

 «C’è un rigurgito di quello che pensavamo di esserci lasciate alle spalle parecchi anni fa. È come se ci fosse una sorta di assuefazione a questi disvalori ed è come se molte persone avessero dimenticato quello che è stato. Un “ritorno di fiamma”, insomma, culturale. La mancanza di cultura democratica è un pericolo quotidiano ed è esattamente una delle cose cui mio nonno Giacomo teneva di più: la cultura, oltre che l’istruzione. Era convinto che senza di esse non si potesse ottenere la libertà».

Per molto tempo in famiglia non si è parlato di Giacomo Matteotti, come mai?

«Non se ne parlava perché è stato un evento che ha avuto delle conseguenze pesanti su ognuno di noi.  Un fatto così grave che probabilmente non si riusciva ad esprimere questo dramma, perché è stato talmente deflagrante che non c’erano le parole per poter tramandare e spiegarne la portata».

Quindi non hai nessun ricordo diretto di famiglia? 

«Ci è stata negata una memoria e questo è un fatto che ti porti dietro tutta la vita perché devi “riempire” quella memoria da solo».

E quindi tu hai conosciuto la figura di tuo nonno attraverso gli strumenti che sono a disposizione di tutti noi?

«L’ho conosciuto quando mio padre mi ha spedito il libro delle lettere a Velia, venti anni fa.  Il messaggio di mio padre era chiaro: voleva dirmi che non poteva essere presente ma che in quel libro c’era l’anima della vita di Giacomo. Con il tempo ho pensato che probabilmente il gesto di mio padre mi ha fatto bene perché mi ha stimolato il recupero della memoria storica. Da quel momento ho cercato di portare alla luce la figura di mio nonno e lo sto facendo continuamente: per  mio figlio, per i miei nipoti, per l’opinione pubblica. Mio padre mi ha lasciato questa eredità che è ingombrante e faticosa».

Si è parlato poco del rapporto di Giacomo con Velia. Secondo te la figura di Velia ha influito nell’azione politica e umana di Giacomo? 

«Velia lo ha sempre sostenuto e incoraggiato, nonostante lei sapesse del pericolo che correva. Ne era cosciente, glielo ripeteva spesso. Lui non si è sentito in colpa nel togliere il tempo a lei e alla famiglia, perché lei sapeva che per Giacomo la politica e il socialismo venivano prima di tutto».

Però si tende a fare di Giacomo una sorta di santino, nell’anno del centenario dall’assassinio. Non sempre si ricorda che sia stato un autentico socialista riformista, eppure Giacomo ci teneva tantissimo. Pensi sia emersa questa sua identità?

«Deve emergere perché è giusto dare un messaggio sulla identità politica socialista di Giacomo.  Penso che non sia facile perché a molti magari interessano altri aspetti e questo è un peccato».

Pensi che sia stata strumentalizzata la figura di Giacomo? 

«Certamente sì, è stata strumentalizzata da molti. La figura di Giacomo va studiata fedelmente, cioè bisogna spersonalizzare se stessi e il proprio tornaconto per capire chi è stato Giacomo e bisogna dare voce a lui. Non so quanto questo sia succedendo e non intendo giudicare le iniziative che vengono intraprese, ma a volte è come cristallizzare una persona per scopi diversi».

E molte forze politiche che non hanno avuto mai niente a che fare con il socialismo riformista lo hanno fatto… 

«Intravedo il rischio che da quando finirà l’anno del centenario, Giacomo finisca nel dimenticatoio. Spero non sia così. Spero invece che la sua lezione sia utile per rinnovarsi e cambiare culturalmente».

Qual è la lezione che di Giacomo può essere utilizzata per i ragazzi?

«La cultura e il coraggio».

Giacomo aveva altri pregi: l’internazionalismo e aveva visto prima di altri il pericolo che stava arrivando. È stato osservato che la storia si sta ripetendo.

 «Mi stupisco che la gente abbia votato questo governo e mi stupisco che su molte cose si è arrivati peggio di prima. Per questo dico che vedo dei segnali pericolosi».

Il 9 e 10 giugno si vota per le elezioni europee che quest’anno sono significative per i temi di cui stiamo parlando. La data coincide con i giorni in cui Matteotti fu rapito per aver pronunciato il discorso di denuncia contro Mussolini. Oggi cosa farebbe Giacomo?

«Quello che è sempre stato e che ha sempre fatto: un socialista che smuoverebbe gli animi».

 

 

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