di Stefano Amoroso
Lo potremmo chiamare il paradosso della difesa: le esportazioni di armi occidentali non sono mai state così tante, eppure l’Occidente non si è mai sentito così debole ed in pericolo. E, soprattutto, impotente di fronte all’avanzata dell’esercito russo in Ucraina, proprio quando le proprie industrie belliche lavorano a pieno regime. A dirlo sono i dati emersi dall’ultimo rapporto dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (SIPRI) pubblicato l’11 marzo scorso che rivela come, nel periodo 2019-2023, la Russia abbia dimezzato i volumi di esportazione di armi, mentre Stati Uniti d’America ed Europa Occidentale, messi insieme, rappresentano il 72% delle esportazioni di armi nel mondo, in aumento del 10% sul quinquennio precedente. Dunque, la grave mancanza di munizioni e di armi pesanti a disposizione dell’esercito ucraino non sarebbe dovuta alla scarsa capacità produttiva occidentale, ma al fatto che questa viene destinata a mercati più lucrosi ed ampi. Si tratta in primis dei grandi Paesi dell’Estremo Oriente e del Medio Oriente, ma anche mercati dell’Oceania, dell’Africa e dell’America Latina. Analizzando bene i dati si scopre che il Giappone ha aumentato le proprie importazioni di armi del 155% per riarmarsi, principalmente in chiave anticinese. E si apprende che il Qatar ha quasi quadruplicato (+396%) le proprie importazioni belliche, diventando il terzo importatore di armi al mondo. Un balzo in avanti che ha fatto la felicità soprattutto dell’Italia, diventato primo fornitore di armi di Doha. Il nostro Paese, inoltre, è ormai stabilmente tra i primi sette esportatori mondiali di armi, con un aumento delle esportazioni dell’86% nell’ultimo quinquennio. Un aumento secondo solo a quello statunitense. Peccato che il Qatar, come è tristemente noto, sia uno dei principali sostenitori di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche. Sicché non sarebbe per nulla strano se i nostri militari in missione all’estero, come è già successo in passato, si vedessero sparare addosso con armi italiane. Non siamo gli unici a praticare l’antico adagio “pecunia non olet”: la Francia, per esempio, esporta massicciamente armi verso la Cina, che è un grande competitore di Giappone e Stati Uniti in Asia ed a livello globale. E lo stesso fanno anche la Germania, ed altri Paesi occidentali. L’Ucraina, intanto, è invasa e bombardata quotidianamente dall’esercito russo. Dopo lo slancio iniziale, sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea hanno ridotto notevolmente il flusso di finanziamenti e di munizioni verso Kiev. Certamente, l’Ucraina non è un cliente ricco né molto solvibile, anche perché le sue infrastrutture sono continuamente sabotate e distrutte dai russi e dai filorussi. Così, per risolvere lo stallo, ci voleva una soluzione originale ed efficace. E pare che sia stata trovata, grazie alla Repubblica Ceca. Il Presidente del piccolo Stato dell’Europa Centrale, Petr Pavel, alla Conferenza di Monaco dello scorso 17 febbraio ha stupito tutti, annunciando di aver trovato circa ottocentomila proiettili in giro per il mondo. Successivamente, il 26 febbraio, l’esecutivo boemo ha reso noto di aver convinto altri quindici Stati UE a seguire la strada del Governo di Praga. Purtroppo, tra questi non figura l’Italia, a causa delle solite lotte intestine al Governo Meloni e da una linea di politica estera e della difesa avvolta nella fitta nebbia dell’incertezza. Il meccanismo boemo è semplice: mettere insieme risorse economiche, militari, politiche e diplomatiche da parte di chi ci vuole stare, per raccogliere sui mercati internazionali ciò che serve all’Ucraina per difendersi e contrattaccare. Vista l’enorme difficoltà europee e statunitensi, la soluzione elaborata a Praga potrebbe rivelarsi tanto semplice quanto efficace: il classico uovo di Colombo. La visione ceca, infatti, crea un gruppo di volenterosi che va avanti in maniera rapida ed efficace, ed evita strettoie politiche e ricatti di qualsiasi tipo. Non a caso, l’iniziativa non è piaciuta per niente all’autocrate ungherese Orban. È presto per dire se l’iniziativa di Praga sarà in grado d’incidere veramente sulle sorti del conflitto. Di fatto, però, insieme all’emissione di Eurobond per finanziare la difesa europea, di cui abbiamo già scritto su queste pagine, rappresenta un sincero ed utile tentativo di unire i Paesi occidentali verso l’obiettivo comune della difesa dell’Ucraina. Sarebbe bello ed utile se anche l’Italia, in coerenza con le parole spese a sostegno di Kiev, si volesse unire a questi sforzi.