di Alessandro Silvestri
La sinistra italiana (largamente intesa) è in minoranza per il semplice motivo che fa da anni battaglie minoritarie. Il mini-test elettorale degli scorsi giorni conferma, a parte l’oasi foggiana, che il feeling degli italiani con l’attuale maggioranza di destra-centro, è ancora potente. Della serie che se tu scegli di tutelare ‘solo’ i diritti (sacrosanti, intendiamoci) di minoranze del Paese, dalle famiglie arcobaleno al mondo LGBTQ+, dai diritti (ancor più stringenti dei primi, perché si tratta di una questione di vita o di morte) dei migranti e delle ONG che se ne prendono cura; oppure tendi a rappresentare un mondo del lavoro dove i pochi tutelati dal sindacato e tutto questo si contrappone ad un mare di incertezza, precarietà, piccole imprese alla canna del gas e lavoro sottopagato, è chiaro che poi quei frutti raccogli. E vedi parte del ‘problema’. Giorgia Meloni invece, agevolata anche dal contesto politico in cui si muove, non avendo apparati di partito da consultare quotidianamente, visto che ha piazzato tutti i fedelissimi nei posti chiave, e tenendo (per il momento) lo scontro politico con gli altri soggetti della maggioranza a livello di bassa intensità, riesce a manovrare in anticipo rispetto alla lentezza burocratica delle opposizioni, comunicando direttamente attraverso i social e by-passando ormai costantemente i media. E non solo adesso che gode del palcoscenico e dei riflettori di Palazzo Chigi, ma anche prima quando parlava dalle piazze, costantemente alla pancia del Paese. Intendiamoci, ha già ampiamente dimostrato di non essere all’altezza del ruolo, vicende personali comprese. Ma è ancora abile nel comunicare una perfetta dissimulazione della realtà e il suo elettorato, per adesso, le crede acriticamente. Realtà che prima o poi verrà a chiedere il conto, soprattutto agli italiani, anche quelli che non l’hanno scelta, ma intanto gode di fiducia incondizionata ed è capace di trasformare le debacle, quantomeno esteticamente, in mezzi successi, come il caso Giambruno o la conferenza di pace del Cairo, disertata da soggetti essenziali come USA e Israele e dove le delegazioni arabe presenti sono riuscite pure a litigare tra di loro. Due le direttrici sulle quali muoversi, programmi essenziali che tornino ad occuparsi ed a parlare alla vistosa maggioranza del Paese, dalla sicurezza delle città e dentro le proprie abitazioni, negozi, fabbriche, attività, dalla delinquenza grande e spicciola; alle politiche per la casa e gli alloggi dove il pubblico torni ad investire massicciamente, che è anche un modo per smuovere l’economia in una maniera sana e non drogata dalle regalie del 110% o dagli investimenti a perdere.
Il secondo passaggio obbligato è quello di mettere intorno al tavolo delle trattative, un minuto dopo le elezioni europee che per loro natura dividono, i soggetti che a cose normali si coalizzano per vincerle e non per perderle, le elezioni. Così come ha auspicato il segretario del Psi Enzo Maraio in una lettera inviata ai leader mesi fa. Partendo dal PD della Schlein che è certamente ancora il primo partito della futura coalizione, ma dovrà anche dare prova di saper come fare per tornare a vincere. Ai verdi e sinistra italiana, ai socialisti e +Europa, con l’incognita ancora non risolta (ma il tempo fino alle prossime politiche c’è in abbondanza) di Conte da una parte e di Renzi e Calenda dall’altra che tuttavia, salvo disastri e incidenti – sempre possibili con i due fantasisti del centrocampo – dovrebbero rimanere nell’alveo del centro-sinistra. Con la speranza che abbiano ormai assimilato, data anche l’età, la lezione strategica di Von Moltke. Insomma una riedizione ulivista o se vogliamo andare più indietro nella storia, un nuovo centro-sinistra, senza più un partito a fare da perno centrale, ma riuscendo a mettere insieme le varie debolezze trasformandole in forza di governo. Una carta da giocare intanto alle amministrative 2024, dove è fondamentale conquistare la maggioranza delle amministrazioni locali, viatico e rampa di lancio tradizionali, per i traguardi superiori. Ed è così ormai anche nel resto della UE. Che di questo ha bisogno il Paese. Di un rassemblement progressista che sappia unirsi e vincere. Certo non sarà facile e indolore, specialmente per chi è affezionato alla politica del fischietto, dello striscione e del tamburello.